Milano, 30 novembre 2024 – Baronessa Bagatti Valsecchi, se permette...
“Guardi che così non mi chiama più nessuno. Io sono Anna”.
Come una fiaba, appunto, possiamo ricomporre la sua biografia?
“Allora, incominciamo... C’era una volta una bambina di nove anni. Salì una notte su una torretta e vide Milano tutta in fiamme”.
Questo, il suo primo ricordo non sbiadito?
“Sì, con lo scoppio della guerra nel 1940, eravamo sfollati nella casa (storica splendida villa, ndr) di Varedo. Da lì, potevo scorgere, lontano ma inconfondibile, l’intero profilo urbano sconvolto dai bombardamenti”.
Sempre più violenti. Ma la dimora diventata Museo Bagatti Valsecchi, tra le vie Gesù e Santo Spirito, fu risparmiata.
“Infatti, qui accanto crollò il convento sul quale poi è sorto l’Hotel Four Seasons. E le schegge arrivarono soltanto a ferire una parete di questa stanza”.
Ci troviamo nella Sala dell’Affresco, nel Museo che compie i primi 30 anni d’apertura al pubblico.
“L’opera, fine Quattrocento, raffigura la Madonna della Misericordia. In occasioni particolari, l’ambiente era impiegato come cappella privata. Vi fu celebrato il matrimonio di Maria, sorella di mio padre Pasino”.
Risaliamo a lui.
“Dei suoi quattro figli, un maschio e tre femmine, io sono l’ultima Bagatti Valsecchi”.
No, dice la figlia di suo fratello Pier Fausto, Camilla, che del Museo è presidente: i propri figli, nati Dubini, ha voluto si chiamassero anche Bagatti Valsecchi, per far proseguire la famiglia.
“Però sono io a non aver mai cambiato nome. E in questa casa, che tanti cambiamenti ha attraversato, sono rimasta più degli altri”.
Senza rimpiangere di non essersi sposata?
“Nessuno forse mi ha fatto la corte”.
Difficile crederlo. Una donna affascinante come lei, tuttora a 91 anni, resta single perché lo vuole.
“Ho sempre avuto una vita libera e indipendente. Ci crede che ero poco più che bambina quando ho incominciato a prendere il treno per venire a studiare a Milano dalle suore Marcelline?”.
Da sola?
“Con le mie sorelle e altri due ragazzini, figli di amici ospitati in quegli anni difficili. Ci alzavamo presto. Andavamo alla stazione di Varedo in bicicletta, la buttavamo in un angolo, poi la ritirava un falegname, e noi saltavamo sulle carrozze ferroviarie”.
Sulla linea servita oggi da Trenord, dovremmo credere che un tempo la circolazione era in orario?
“Sì, sì, sì”.
Altro straordinario dettaglio lo scopriamo dentro l’antico Quadrilatero d’Oro: nell’area degli affitti da primato del mondo, 20.000 euro l’anno per metro quadro in Monte Napoleone, c’erano una volta i pollai nei cortili dei palazzi?
“Le galline, veramente, noi le tenevamo sul terrazzo. Per procurare l’ovetto fresco alla piccola Camilla”.
Era una Milano più a misura di bambino che di turista?
“Anche in questa ‘casa artistica’, contenitore di originalissime collezioni quattro-cinquecentesche, i bambini avevano la libertà di non sentirsi fuori posto”.
E sempre, si legge sul motto nel Salone d’ingresso, sarà aperta agli amici. Perciò è la casa-museo più insigne al mondo?
“Così ha sentito dire?”.
A dire la sua eccezionale, ideale, dimensione privata, che rivela oltre alla storia di un’epoca l’umanità degli individui, è il Nobel Orhan Pamuk. Altri ospiti illustri?
“Nell’album, la Regina Margherita si è presa due pagine e... mi lasci cercare il mio elenco, ecco: Emanuele Filiberto di Savoia, Luís Fernando Maria de Orléans Infante di Spagna, Vittorio Emanuele di Savoia Aosta Conte di Torino...”.
Se una ragazza si trova a sfogliare il book di casa autografato da re e principi, poi si mette a lavorare?
“Io l’ho ho sempre fatto. Prima crocerossina. A seguire, ‘passa ferri’ in sala operatoria. Lo era una mia amica, andavo a vederla. Un giorno non si presentò, per farmi prendere il suo posto. Gliene ho dette tante!”.
In sette anni ne deve aver viste tante.
“Tante gambe tagliate, soprattutto di uomini. Amputazioni tremende”.
Perciò cambiò posto?
“Avevo studiato filosofia senza laurearmi, ma il diploma di teologia mi ha permesso d’insegnare religione, per trent’anni, nella Scuola Media Arioli, ad adolescenti nell’età più difficile”.
Sono, ora, i suoi nipoti, a sentirla vicina.
“Li ho sempre per i piedi, certo, che cari ragazzi! Fanno studi all’estero, ma tornano a risiedere nella nostra meravigliosa Milano. Grazie a loro, posso ancora andare a San Siro”.
Tifosa di calcio?
“Milanista fedelissima. Il 5 maggio scorso, alla partita contro il Genoa, ero seduta vicino a Ibrahimovic e Baresi: questi due, sì, autentiche leggende”.
Se ancora non esiste, chiediamo ai rossoneri che s’inventino un adeguato titolo per onorarla, Anna, se permette.
“Grazie. Intanto, mi permetta di esprimere soddisfazione per l’Ambrogino d’Oro concesso alla Fondazione Bagatti Valsecchi. L’avevamo costituita, nel 1974, mio padre e noi figli in pieno accordo, donandole il patrimonio di opere d’arte degli avi, salvato così dalla dispersione”.
L’Ambrogino si conferisce a Sant’Ambroeus, 7 dicembre, quando pure ricorre la Prima della Scala. Ci andrà?
“Vado sempre alla seconda rappresentazione, come gli inossidabili milanesi che continuano a pagarsi gli abbonamenti alle poltrone. La musica è una passione di famiglia: al pianoforte ricavato in una credenza rinascimentale, accanto a cui mi avete fotografata, io mi esercitavo. E nuovi concerti, ancora, in questa casa-museo si preparano per tanti graditi ospiti”.