MARIO CONSANI
Cronaca

Quel 14 maggio ’77 quando i ragazzi sparavano per le strade

Dietro la foto simbolo degli anni di piombo la tragedia del vice brigadiere Custra

Foto simbolo degli anni di Piombo

Foto simbolo degli anni di Piombo

Milano, 13 maggio 2017 - Un ragazzo dell’autonomia spara stando dietro una macchina parcheggiata sul marciapiede e non lo vede quasi nessuno. Cinquanta metri più avanti un altro ragazzo, che però indossa la divisa da poliziotto, colpito alla fronte cade sul selciato fra i binari del tram. In mezzo alla strada un terzo giovane, col volto coperto dal passamontagna, le gambe piegate e le braccia tese che impugnano una pistola, spara anche lui. Sarà la sua foto a finire sulle pagine dei giornali, anche se quel proiettile non ha colpito nessuno. Ma questo si scoprirà solo dopo, quando l’immagine ha fatto ormai il giro del mondo come simbolo degli anni di piombo. Succede tutto esattamente il 14 maggio di quarant’anni fa, in via De Amicis. E passa alla storia.

Due giorni prima, a Roma, durante una manifestazione pacifica dei radicali è stata uccisa una ragazza di 17 anni, Giorgiana Masi. Non si sa a tutt’oggi chi sia l’assassino: ma è certo che tra i giovani in corteo c’erano anche poliziotti in borghese infiltrati. Qualcuno li ha filmati e fotografati mentre sparavano sulla folla ad altezza d’uomo. Sempre due giorni prima, a Milano, erano stati arrestati Sergio Spazzali e Giovanni Cappelli, due avvocati di Soccorso rosso, l’organizzazione che assisteva i detenuti politici di sinistra.

Sabato 14 maggio 1977, a Milano, l’Autonomia operaia indice dunque una manifestazione di protesta contro il governo Andreotti, per la morte di Giorgiana e per l’arresto dei due avvocati. Protesta pacifica, finché all’altezza di via De Amicis dal corteo principale si stacca un gruppo di autonomi che comincia a dar fuoco alle macchine e poi passa alle pistole. Lo sparatore solitario, quello fissato nella memoria collettiva dal fotografo dilettante Paolo Pedrizzetti mentre piegato sulle gambe prende di mira il gruppo dei poliziotti, si chiama Giuseppe Memeo, è un militante del collettivo Romana-Vittoria e non ha ancora 19 anni. A cadere cinquanta metri più avanti è Antonio Custra, giovane poliziotto sfortunato. Insieme ai suoi colleghi del Terzo celere sta rientrando in caserma e si è fermato in via De Amicis solo per attendere che la coda del corteo sfili lungo l’incrocio imboccando via Carducci.

Ma improvvisamente una ventina di dimostranti si fa avanti forzando un cordone di sicurezza con altri esponenti dell’Autonomia come il leader Oreste Scalzone. Partono le prime bottiglie incendiarie lanciate dai giovani, rispondono i lacrimogeni della polizia. Poi i primi colpi di pistola, e la raffica di risposta degli uomini in divisa. Il vice brigadiere Custra cade subito, colpito in piena fronte. Muore dopo una breve agonia. Ha appena 25 anni, figlio di contadini, è originario di Avellino. E’ sposato, aspetta una figlia che non conoscerà mai. La sua morte commuove l’intera città.

È stato Memeo, il ragazzo del passamontagna, a sparare il colpo mortale? No, il calibro 22 della sua pallottola non è quello che ha ucciso, accerteranno le indagini. I primi a finire in manette sono tre studenti dell’istituto tecnico “Cattaneo”, anche loro ripresi armati in un’altra foto famosa che finisce sulla copertina dell’Espresso.​ Walter Grecchi, uno dei tre, ha appena compiuto 18 anni. Gli altri due, Maurizio Azzollini e Massimo Sandrini sono ancora minorenni. Sandrini e Grecchi lanciano solo molotov, dei tre è Azzollini quel giorno a sparare con una vecchia Beretta calibro 7.65, lo stesso della pallottola assassina. Ma non può essere lui ad uccidere Custra, perché è troppo lontano dal cordone di polizia. Alla fine del primo processo, però, le condanne dei tre ragazzi per concorso morale nell’omicidio andranno dai 9 ai 15 anni di carcere.

Chi davvero esplose il colpo mortale, quel giorno di 40 anni fa, lo chiarisce soltanto agli inizi degli anni ’90 una nuova istruttoria condotta dal giudice Guido Salvini che prende il via nell’ottobre di dieci anni prima dalle confessioni di Marco Barbone, il giovane terrorista che ha ucciso a revolverate il giornalista Walter Tobagi. Grazie a quel racconto, e al ritrovamento di un rullino fotografico rimasto fino a quel momento nascosto, il giudice Salvini può ricostruire con precisione la successione dei fatti Dopo le molotov e i lacrimogeni, è Memeo che spara per primo e subito dopo anche gli altri, quasi per imitazione. La polizia risponde al fuoco ma il vice brigadiere Custra cade subito. A colpirlo non è però la calibro 22 di Memeo, è un proiettile 7,65. Barbone spara con un fucile da caccia a pallettoni e colpisce all’occhio un passante; Azzollini è troppo distante dai poliziotti per poterli colpire. Resta Mario Ferrandi, 21 anni, anche lui del collettivo Romana-Vittoria, che è molto avanti, quasi all’altezza di Memeo. Spara più colpi con una 7,65. Uno di questi, stabilisce la sentenza definitiva, squarcia la fronte di Custra.

mario.consani@ilgiorno.net