MARIANNA VAZZANA
Cronaca

Dallo sport ossessivo al rifiuto del cibo. "Mia figlia è arrivata a pesare 39 chili"

La battaglia di un papà: stiamo uscendo da un incubo, è come affrontare un secondo svezzamento

La ragazza è in cura all’ospedale San Paolo di Milano

Milano - Dal buio alla luce, grazie alla famiglia e agli specialisti dell’ospedale San Paolo. Beatrice (nome di fantasia) oggi ha 18 anni e da 3 combatte contro l’anoressia nervosa. "È stato come affrontare un secondo svezzamento. Mia figlia, per fortuna, a poco a poco sta uscendo dall’incubo", spiega il papà.

Quando si è accorto che sua figlia stava perdendo peso? "Al terzo anno di liceo. Mostrava stress, insicurezza, incapacità di dialogare, si rabbuiava, aveva una bassa autostima. Viveva momenti cupi, che il lockdown ha poi enfatizzato". 

Cosa ha fatto scattare l’allarme? "All’inizio continuava a mangiare ma nello stesso tempo mostrava delle ossessioni: si allenava per 5 ore, camminava, correva compulsivamente. Si alzava anche di notte per farlo. Sul fronte cibo, in un primo momento sembrava incuriosita da regimi alimentari salutistici, poi è diventata eccessivamente rigida e selettiva, escludendo patate, carne... fino a non mangiare. La situazione è diventata grave con la perdita delle mestruazioni". 

Quanti chili pesava? "È arrivata a pesare 39 chili".

Come siete intervenuti? "Non sapevamo come comportarci. La svolta è arrivata dopo che mia figlia ha parlato con una sua compagna, che le ha raccontato di una psicologa in gamba: ha voluto scegliere lei da chi farsi assistere, e così è stato. Da quel primo incontro siamo poi approdati al percorso di cura del San Paolo".

La difficoltà principale, prima di arrivare a questo percorso? "Le strutture erano tutte sature, i tempi di attesa lunghi. I centri per curare questi disturbi sono essenziali, c’è bisogno di maggiori risorse. Noi abbiamo avuto la fortuna di trovarci supportati da una rete, anche grazie alla onlus Nutrimente. I gruppi di ascolto sono stati molto utili. Chi è malato deve sentirsi sostenuto. Il disturbo coinvolge tutta la famiglia e il percorso si deve affrontare insieme".

Il punto più basso? "Il culmine, in negativo, è stato l’8 marzo del 2020, primo giorno di lockdown: mia figlia era messa male. Da lì ho capito che tutti noi dovevamo darci da fare. Il ruolo dei genitori è fondamentale. I figli, che già stanno male, non devono sentire addosso uno ‘stigma’. Per me è stato come se mia figlia fosse tornata bambina, come se dovesse ricominciare lo svezzamento: io ho avuto parte attiva anche in cucina, preparando il cibo e il pane fatto in casa. Il problema non è il cibo ma l’insicurezza". 

Ora come sta sua figlia? "Bene. Pesa 53 chili, frequenta l’università e sta riprendendo in mano la sua vita. Si allena in un gruppo sportivo ma non è più ossessionata".