Milano, 4 settembre 2024 – La vittima del faccia a faccia armato che è andato in scena poco prima delle 11 fuori dalla scuola di pugilato in via Besozzi a Cernusco sul Naviglio, non è una vittima qualunque. Per chiunque sappia un po’ degli affari della ‘ndrangheta a Milano, il nome di Antonio “Totò” Bellocco – ucciso a coltellate questa mattina dal capo ultrà dell’Inter, Andrea Beretta, a sua volta ferito con colpi di pistola – fa rima con Rosarno.
I legami con la curva nord
Classe 1988, sposato e con due figli, Antonio Bellocco era il rampollo dell’omonima cosca, originaria di Rosarno. Figlio di Giulio Bellocco, morto a inizio anno in carcere a Opera, e nipote del capobastone Umberto, aveva alle spalle una condanna definitiva a nove anni per legami con la criminalità organizzata. Arrivato nel Milanese circa un anno e mezzo fa, nei mesi scorsi, aveva iniziato a frequentare con assiduità il secondo anello verde del Meazza, vicino ai più noti capi ultrà della Nord, anche se pare che le dinamiche da stadio non siano il motivo della lite finita con l'accoltellamento alla gola del trentaseienne.
In particolare aveva legato molto con Marco Ferdico, portavoce della curva interista. Tanto che ieri sera, cioè alla vigilia della lite finita nel sangue, Ferdico, Bellocco, Beretta e altri erano a Carugate, dove si ritrovano gli ultràs dell’Inter, a festeggiare il compleanno del primo con una partitella tra milanisti e interisti.
La cosca dei Bellocco
La potenza e le ramificazioni dei Bellocco a Milano e in Lombardia emergono già tra il 2010 e il 2015, quando un’operazione della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria consente il sequestro ad Albano Sant’Alessandro di un appartamento e un’autorimessa di proprietà della cosca Bellocco Quei beni, uniti ad altri sparpagliati tra le province di Reggio Calabria, Mantova, e a Cologne, in provincia di Brescia, per un valore di 4,5 milioni di euro, sono stati sequestrati dalla Polizia di Stato nell’ambito di una operazione denominata “Blu Call” partita da Reggio Calabria. I beni sequestrati erano intestati a undici persone legate a vario titolo alla cosca di Rosarno. L’indagine, coordinata dalla Dda di Reggio Calabria aveva portato nel 2012 all’arresto di 23 persone ritenute responsabili, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, detenzione di armi da fuoco, riciclaggio, rapine e intestazione fittizia dei beni. Nel corso dell’inchiesta era emerso il radicamento della cosca Bellocco in Lombardia, Emilia Romagna e Svizzera.
L’operazione Blue call
In particolare, l'interesse dei Bellocco ad acquisire una società attiva nel settore dei call center, la “Blue call” appunto. Tra la fine del 2010 e gli inizi del 2011, il clan entrò nel pieno possesso dell'azienda, pur non comparendo in atti ufficiali e ricoprendo ruoli di alcun genere. Tra gli arrestati, c’era proprio Antonio Bellocco, condannato poi a nove anni. Nel capo d’imputazione si legge che il nipote del capobastone “forniva un costante contributo per la vita dell’associazione in occasione dei colloqui con la madre Aurora Spanò, la aggiorna sugli avvenimenti più recenti relativi a dinamiche d’interesse del sodalizio, le comunicava messaggi e informazioni degli altri affiliati (…) e inoltre forniva un contributo rilevante nella consumazione di alcuni reati fine e, più in generale, si metteva a completa disposizione degli interessi della cosca”.