Milano -"Ma perché ogni volta devi sempre piangere...". Sono le 17.28 del 31 gennaio, siamo in una camera di un ospedale milanese. Una delle microcamere nascoste della polizia riprende la scena: nell’inquadratura compaiono una donna di 27 anni, residente nel Varesotto, e la figlia di 17 mesi. Appena la mamma tira fuori una bomboletta da un calzino elastico, la piccola inizia a lamentarsi e a ripetere "no, no". Evidentemente, nonostante la tenerissima età, sa quello che sta per succedere: "Ma perché ogni volta devi sempre piangere...", la frase della ventisettenne che fa pensare a un’abitudine consolidata. Poi il rumore dello spray, per 11 interminabili secondi, seguito da un altro spruzzo di 8 secondi. La bimba urla disperata.
Quelle immagini – che si riferiscono al primo giorno di intercettazioni e che si replicheranno identiche e in diversi momenti della giornata il primo febbraio – sono bastate all’aggiunto Maria Letizia Mannella e al pm Pasquale Addesso per chiedere e ottenere una misura cautelare per la madre, arrestata per maltrattamenti aggravati su ordinanza del gip Patrizia Nobile (che oggi la interrogherà). Stando ai primi esiti dell’inchiesta-lampo degli investigatori della Squadra mobile, coordinati dal dirigente Marco Calì, la ventisettenne, difesa dall’avvocato Eleonora Malinverni, spruzzava deodorante per adulti sul corpo della figlia, provocandole lesioni personali gravi "consistite in bruciature cutanee sul corpo" guaribili in non meno di 90 giorni.
Il motivo? "Tale operato – scrive il giudice – è finalizzato a determinare il rinnovarsi delle lesioni e il protrarsi del ricovero della vittima nelle strutture ospedaliere", seguendo uno schema che sembra richiamare i sintomi della "sindrome di Münchhausen per procura". Secondo quanto ricostruito finora, già al secondo mese di vita, nell’autunno 2021, la piccola viene ricoverata in un ospedale lombardo per "lesioni cutanee sul corpo"; a quel breve periodo di degenza ne seguono altri, senza che i medici riescano a identificare la causa delle "bruciature". Fino a quando il 10 gennaio scorso la bambina viene portata in un centro clinico milanese per ulteriori esami, che non individuano alcuna "patologia naturale nota".
A quel punto, i medici ipotizzano "un comportamento lesivo esercitato dalla madre nei confronti della figlia anche nel contesto del ricovero ospedaliero" e segnalano tutto alla Procura. Da lì l’attivazione "in via d’urgenza" delle captazioni audio-video da parte dei magistrati e i due giorni di registrazioni che confermano il drammatico sospetto. Nel frattempo, l’ospedale coinvolge pure gli specialisti dell’Istituto di medicina legale, che riscontrano "livelli elevati di alluminio nel sangue e sui tamponi cutanei". Un metallo, l’alluminio, assente nei prodotti usati per l’igiene della bambina, ma presente in un deodorante usato dalla donna.
"Adesso viene fuori che è colpa mia", la reazione stizzita della ventisettenne quando i medici glielo fanno notare. "Si tratta in tutta evidenza – aggiunge il gip – di azioni consapevoli e volontarie". Nel provvedimento, il carcere è giustificato in primo luogo dal "concreto e attuale pericolo di inquinamento probatorio", legato "all’elevata probabilità che l’indagata possa distruggere documentazione medica rilevante e/o avvicinare i testimoni al fine di inficiare la genuinità delle rispettive testimonianze".
Inoltre , a parere del giudice, la ventisettenne potrebbe reiterare quei comportamenti: "La sequenza di sofferenze fisiche cui la minore indifesa è stata sottoposta, la persistenza nel proposito criminoso, impermeabile anche ai controlli esterni e alle perplessità manifestate dal personale sanitario, appaiono sintomatici di una personalità aggressiva e priva di freni inibitori".