ANDREA GIANNI
Cronaca

Arrestato Giovanni Barone, il broker di corso Como colletto bianco della 'ndrangheta

Sequestrata una società immobiliare con sede in uno studio in corso Buenos Aires, sotto il controllo di una cosca. L’avvocatessa ungherese, i finanzieri britannici e i sultani truffati: le mosse del clan

Corso Como, casa di Giovanni Barone

Milano, 26 gennaio 2023 - "Io non sono una persona, sono una società finanziaria". Il ragioniere Giovanni Barone, considerato dagli inquirenti il "broker di riferimento" del clan Bonavota, muoveva le sue pedine tra Milano, Budapest e la Calabria, gestendo dalla sua casa in corso Como gli affari della ’ndrangheta. Affari che si sono estesi anche nel capoluogo lombardo, per l’esattezza in un elegante palazzo in corso Buenos Aires 37, dove si trova la sede della società del settore immobiliare S&L Fc, “ospitata“ a partire dal 2017 dallo studio del commercialista milanese G.C., "amico fraterno" di Barone.

La rete del clan

La S&L Fc, controllata dai clan, è una delle società sottoposte a sequestro preventivo finalizzato alla confisca nell’ambito dell’inchiesta della Dda di Catanzaro che ha portato all’arresto di otto persone, tra cui Barone. Nei confronti di altre tre è stata disposta la misura interdittiva del divieto di esercitare attività imprenditoriali o uffici direttivi di persone giuridiche. A tutti i destinatari delle misure cautelari vengono contestati il riciclaggio internazionale, il trasferimento fraudolento di valori, la truffa internazionale ed altri reati, alcuni dei quali con l’aggravante mafiosa, in un’operazione che rappresenta il seguito della maxi inchiesta Rinascita Scott del 2019 in cui furono coinvolte oltre 300 persone.

I colletti bianchi della 'ndrangheta

Nel mirino dei carabinieri del Ros i “colletti bianchi“ della ’ndrangheta, e le mire su aziende utilizzate come strumento per riciclare, investire e ripulire soldi sporchi. Nell’ordinanza firmata dal gip di Catanzaro vengono ripercorse le tappe che hanno portato la S&L Fc, costituita nel 2015 a Vibo Valentia e "attiva nella costruzione di edifici residenziali", nelle mani di Giovanni Barone e di alcuni soci finanzieri d’oltremanica, definiti nelle conversazioni intercettate gli "amici inglesi". A scatenare gli appetiti dei clan è stato l’acquisto da parte della S&L, nel frattempo finita sotto il controllo di una società francese fondata da un imprenditore originario della Calabria, di un terreno edificabile a Pizzo Calabro, in località “Marinella“, pagato 400mila euro.

Da Budapest a corso Buenos Aires

Nel 2017, una volta avviati i lavori per lo sviluppo urbanistico, entra in campo una società con sede a Budapest, la Veritas, che acquisisce il 90% delle quote della S&L, versando ai francesi solo novemila euro, il "mero valore nominale del capitale sociale". Atto che viene firmato nello studio di un notaio milanese, con la nomina di un cittadino britannico come amministratore unico. E il 29 dicembre 2017 la sede legale viene trasferita da Vibo Valentia al civico 37 di corso Buenos Aires a Milano, nello studio del commercialista. Infine, nel 2018, la S&L finisce sotto il controllo di un’altra società ungherese, la Luxury. Un carosello di operazioni e triangolazioni Italia-estero che, secondo le accuse, aveva l’obiettivo di nascondere il “burattinaio“ e gli affari sporchi dei clan.

Giovanni Barone, il dominus

"Giovanni Barone – ricostruiscono gli inquirenti – era il reale dominus occulto deputato alla gestione e al controllo delle società Veritas e Luxury, entrambi controllanti in momenti diversi la S&L Fc". Un personaggio, con alle spalle condanne per bancarotta fraudolenta, che non è sconosciuto in Lombardia. Nato a Roma nel 1969 e residente nel cuore della movida milanese, in corso Como, compare già in inchieste del passato che hanno messo sotto la lente gli interessi della ’ndrangheta nel Nord Italia. Il giudice, nel motivare le esigenze della custodia cautelare in carcere per il pericolo di reiterazione del reato, evidenzia il suo ruolo di "membro di una associazione mafiosa con il ruolo di partecipe", i contatti "con esponenti apicali delle cosche calabresi", l’utilizzo della "forza intimidatrice derivante dall’appartenenza al sodalizio per gestire i suoi affari", la capacità di "agevolare con l’attività di impresa il sostentamento delle cosche".

La "Assocompari"

Dalle conversazioni intercettate è emersa anche la creazione, per scherzo, di una associazione, la “Assocompari“, in realtà inesistente: "Qualcuno con questa assicurazione prende botte". L’Ungheria è stata scelta come sede per la galassia di società con l’obiettivo di rendere più difficili i controlli degli investigatori italiani, attraverso la collaborazione di un’avvocatessa di Budapest, anche lei destinataria della misura cautelare. Nel complesso intreccio di affari e acquisizioni entrano in campo, a un certo punto, anche investitori dell’Oman, tra cui un ex ministro, coinvolti in un affare a Budapest che in realtà si è rivelato una truffa.

Soldi dall'Oman per la cosca

I soldi versati dai sultani sarebbero finiti nelle casse delle società controllate dai clan, volatilizzandosi in diversi rivoli. "A proposito della riforma Cartabia, per alcune tipologie di reato è necessario che ci sia la denuncia della parte offesa, del danneggiato – è l’amara considerazione del procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri –. Noi avevamo fatto un capo di imputazione per truffa aggravata di due milioni di euro che la ‘ndrangheta ha realizzato ai danni dell’ex ministro dell’ Oman. Siccome non abbiamo la denuncia della parte offesa, non possiamo contestare questo reato di truffa perché lo stesso con la riforma Cartabia è procedibile solo a querela di parte. Questo è solo l’ultimo degli effetti della riforma Cartabia – conclude – ma nel corso degli anni ne vedremo tanti altri".