Milano, 27 settembre 2017 - Milano come San Luca. La Lombardia succursale della Calabria. Sono lontani i tempi in cui qualcuno diceva che «la mafia non esiste». La verità è che Milano è stata in questo ultimi sette anni flagellata dalle inchieste sulle infiltrazioni delle mafie. E i fatti hanno dimostrato che la Lombardia è un territorio di conquista, che fa gola ai malavitosi per il business.
«Alla ‘ndrangheta...vogliono mettere in piedi a San Luca. Volevano fare la cosa tipo mafioso. San Luca a Milan...al nord...capito?». È quanto si legge nella trascrizione di una delle intercettazioni ambientali raccolte come prove nell’ambito della maxi indagine. La conversazione intercorre tra Massimo Salvatore Sculli e Rosario Sarcone, due dei principali punti di riferimento della ‘ndrangheta a Seregno, e si verifica proprio a casa di Sculli. I due parlano di Antonio Callipari, di San Luca, e Giuseppe Giorgi, considerati i vertici della «locale» monzese. Proprio questi ultimi sono considerati i responsabili di una «fusione» fra clan che aveva lo scopo di ampliare l’attività illecita: «Da un anno e mezzo sono cresciuti! Da quando sono con Antonio (Callipari) lì c’è stata fatta una fusione».
Dal tenore delle intercettazioni, secondo i pm, emerge che tra Milano e San Luca i movimenti di droga e denaro sono consistenti. I pm hanno infatti considerato che l’organizzazione aveva a disposizione auto con doppio fondo in grado di movimentare fino a 50 chili di cocaina a settimana, «perché rimane comunque la droga la maggiore fonte di reddito per la ‘ndrangheta», come ha sottolineato il pm antimafia Sara Ombra. E anche da quanto emerso nelle ordinanze, notificate proprio per il traffico internazionale di stupefacente, le quantità a disposizione non sono mai inferiori a qualche chilo. I magistrati hanno di conseguenza documentato numerosi viaggi per portare il denaro che proveniva dal traffico in Calabria. Ma ciò che di più gli imprenditori calabresi cercavano di importare a Milano da San Luca erano i «metodi mafiosi» del ricorso all’antistato. «Emerge sempre di più la situazione della convenienza: io mi rivolgo all’antistato per ottenere benefici sapendo perfettamente che agisco con persone legate alla criminalità organizzata. Oggi questo è il sistema e posso dirlo dopo sette anni di indagini sulla ‘ndrangheta», ha commentato l’aggiunto Ilda Boccassini. «Le investigazioni – prosegue – hanno portato a far emergere come infiltrarsi nel tessuto istituzionale sia di una facilità estrema. Non tutti denunciano, imprenditori ed esercenti». E non a caso la pm Alessandra Dolci l’ha definita «mafia silente».