L’accusa di aver fatto la “spia” a scuola e di aver provocato la sua espulsione da una delle scuole internazionali più esclusive (e costose) di Milano. Le pressanti richieste di "lavorare per lui" per sdebitarsi, con annesse minacce in caso di rifiuto. E l’appuntamento in piazza Duomo per fare "qualcosa di grosso", con istruzioni arrivate il giorno prima via Whatsapp sull’abbigliamento da indossare. È l’antefatto della rapina andata in scena il 3 giugno scorso in un negozio di via Sarpi, in piena Chinatown.
Quella sera, due minorenni, entrambi figli di genitori benestanti e con prestigiosi incarichi professionali, fecero irruzione alle 20.30 nella rivendita di prodotti alimentari asiatici ChinEat coi volti coperti da passamontagna, cappellini e occhiali da sole (e guanti di plastica alle mani per non lasciare impronte): "Dove sono i soldi? Dammi subito i soldi", urlò al cassiere il ragazzino armato di pistola (non si sa se vera o finta, certamente senza tappo rosso) per farsi consegnare 800 euro.
Il dipendente dell’esercizio commerciale inseguì i fuggitivi e riuscì a bloccarne uno, quello non armato, poi identificato dai poliziotti delle Volanti per un quindicenne ungherese che chiameremo Artur.
È stato proprio lui durante l’interrogatorio di convalida dell’arresto – ora è libero in attesa di processo, dopo un passaggio al Beccaria e un periodo ai domiciliari – a fare il nome del presunto complice, un sedicenne cinese che da mercoledì si trova in una comunità educativa su disposizione del gip del Tribunale per i minorenni Irina Grossi. Artur ha raccontato che l’altro lo ha di fatto costretto a partecipare al colpo, ritenendolo responsabile della sua espulsione dall’istituto privato che entrambi frequentavano.
Perché? Gli ha imputato di aver rivelato alla direttrice del suo coinvolgimento nel furto di un paio di Airpods. Da lì, sempre nella versione di Artur, è iniziato un incubo fatto di messaggi e telefonate per spingerlo a fargli da spalla in via Sarpi. A inizio luglio, gli specialisti dell’Antirapine della Mobile, coordinati dal pm Sabrina Ditaranto e guidati dal dirigente Marco Calì e dal funzionario Francesco Federico, hanno perquisito il sedicenne, che ha confessato di aver messo a segno il blitz, smentendo però di aver costretto il complice a seguirlo.
Per il gip, che ha disposto la misura cautelare eseguita due giorni fa, "sussiste un significativo e concreto pericolo di reiterazione criminosa da parte del giovane", come si evince a suo parere dalle "dichiarazioni inquietanti fornite in sede di interrogatorio" e da quanto messo a verbale dalla direttrice della scuola.
Quest’ultima, sentita dagli investigatori, ha fatto sapere che il sedicenne non si è reso protagonista solo del furto di auricolari che ha portato all’espulsione, ma di altri "29 episodi trasgressivi" indicativi "di una personalità particolarmente incline all’insofferenza alle regole e all’aggressività".
Detto che queste parole non confermano automaticamente la ricostruzione di Artur e che i riscontri necessari potranno arrivare solo dall’analisi delle chat sul cellulare sequestrato all’indagato, il giudice ha deciso il trasferimento in una comunità del sedicenne, "ad oggi formalmente e sostanzialmente incensurato", per permettergli "di proseguire il suo percorso evolutivo in un ambiente diverso rispetto a quello finora frequentato".