Milano – Il diritto di prelazione sulla finanza di progetto diventa materia per la Corte di giustizia dell’Unione europea. A sollevare la questione, chiedendo all’organo di stanza in Lussemburgo di sciogliere il nodo legale, sono stati i magistrati del Consiglio di Stato chiamati a esprimersi sul piano del Comune che promette di dotare la città di 110 nuovi bagni pubblici gratuiti, di cui 49 in sostituzione di quelli esistenti e 61 da installare in luoghi già individuati o in nuove postazioni ancora da definire.
La storia inizia nel 2021, quando il tandem formato da due aziende di comunicazione, A&C Network e Vox Communication, propone a Palazzo Marino il progetto. A quel punto, l’amministrazione dà il via alla gara, pubblicando un avviso pubblico in cui invita altri eventuali competitor a presentare proposte migliorative rispetto a quella originaria. Con una clausola: quella di prelazione. Tradotto: nel caso in cui chi ha lanciato l’idea non arriverà primo, avrà la possibilità di pareggiare l’offerta più alta per accaparrarsi la vittoria. E così accade: il ticker A&C-Vox si avvale di quella facoltà e decide di uniformarsi al piano di Urban Vision, che aveva garantito fornitura, realizzazione e manuntenzione per 24 anni dei wc pubblici al costo di 29,1 milioni di euro (più ulteriori 5), in cambio dello sfruttamento per 18 anni da parte dei privati di 97 impianti pubblicitari digitali; con un ritorno di immagine “mediante la possibilità di promozione commerciale” stimato in una forbice compresa tra 10,3 e 15,5 milioni di euro. Gli sconfitti fanno ricorso al Tar e perdono.
Nel frattempo, il Comune ha già sottoscritto il contratto con A&C e Vox: in un comunicato del 30 gennaio 2024, successivo al pronunciamento del Tribunale amministrativo, si dice che i primi bagni verranno posati entro l’estate. Urban Vision, però, impugna la sentenza di primo grado al Consiglio di Stato, contestando la legittimità della clausola di prelazione.
Lunedì i giudici di Palazzo Spada hanno emesso un’ordinanza che ha messo tutto in stand by, passando la palla alla Corte di giustizia dell’Ue. Il collegio presieduto da Rosanna De Nictolis è partito da una premessa: l’accordo sotto la lente non può essere rubricato alla voce “sponsorizzazione”, ma inserito nell’ambito della finanza di progetto. Funziona così: il privato ci mette i soldi per costruire l’opera, a fronte di introiti non garantiti in partenza che deriveranno dallo sfruttamento dell’opera stessa o dalla fornitura del servizio.
Da questo ragionamento ne deriva un altro: il contratto sottoscritto ha tutti i crismi della concessione, con una formula che presuppone un partenariato pubblico-privato. In questo contesto, è stata inserita nella gara la procedura prevista dall’articolo 183 comma 15 del decreto legislativo 50 del 2016, che dà il via libera all’utilizzo della clausola di prelazione. Tradotto: il Comune ha rispettato la normativa italiana. Tuttavia, a questo punto la domanda che si pongono i giudici è un’altra: la normativa italiana è in linea con quella europea? In particolare, il Consiglio di Stato ha preso in esame la direttiva comunitaria numero 23 del 2014, che riguarda proprio le concessioni: nella legge “non viene richiamata né disciplinata la clausola di prelazione”. Quindi, il quesito è questo: questa mancanza ostacola oppure l’uso della clausola? Per i giudici, non c’è una risposta chiara. Conseguenza: serve un pronunciamento della Corte europea. Un pronunciamento destinato a diventare estremamente importante per progetti di questo tipo. In un senso o nell’altro.