Milano - Sarà l’incidente probatorio fissato per il 30 gennaio a cristallizzare il risultato della perizia che stabilirà se Alessia Pifferi, la donna di 37 anni che ha lasciato morire di stenti la piccola Diana, l’avesse anche drogata con benzodiazepine. I risultati dell’anali si sul latte lasciato nel biberon, che saranno depositati già in questi giorni, chiariranno se la bimba morta un paio di giorni prima che la madre rincasasse fosse stata stordita perché non chiedesse aiuto e i vicini non si accorgessero così che era stata lasciata sola in casa.
Sono stati respinti dal gip gli ultimi accertamenti, sempre richiesti dalla difesa, su due tazzine da caffè trovate nella cucina del monolocale di via Parea, zona Ponte Lambro. Sono stati ritenuti dal giudice Fabrizio Filice "accertamenti inutili e dispersivi". Il pm Francesco De Tommasi subito dopo l’esito dell’incidente probatorio chiederà il giudizio immediato con l’accusa di omicidio pluriaggravato. In questo contesto giudiziario, (il reato è punibile con la pena massima dell’ergastolo), per la difesa, quindi, non sarà più possibile chiedere l’abbreviato e si andrà direttamente in Assise. Per la Procura, l’esistenza di benzodiazepine, che risulterebbe anche sui capelli di Diana, sarebbe un dato inconfutabile, al punto da anticipare che si tratterebbe di dosi massicce. La trentasettenne, in carcere da luglio, ha sempre negato – attraverso i suoi avvocati – di aver fatto ingerire quel genere di sostanze, ansiolitici compresi, alla figlia, dicendo di averle dato solo gocce di paracetamolo. La presenza di benzodiazepine aggraverebbe la posizione della Pifferi perché dimostrerebbe la premeditazione. Se, cioè, avesse somministrato droga alla piccola questo significherebbe che la donna ha accettato il rischio che la piccola Diana, restando sola, morisse. Dopo sei mesi di carcere in isolamento la donna da qualche giorno condivide la cella con altre detenute.
Per l’avvocato della Pifferi, Solange Marchignoli, è determinante, invece, capire la quantità di benzodiazepine trovata nel corpo della piccola Diana: solo sulla base di risultati definitivi degli esami tossciologici, stando al legale, si potrà contestarle la premeditazione. Al contrario, se risultassero piccole dosi, l’accusa dovrebbe dimostrare come queste abbiano avuto un effetto letale sulla bambina.
La Pifferi che aveva confessato in questo modo l’abbandono della bambina: "Ci contavo sulla possibilità di avere un futuro con il mio fidanzato di Leffe e infatti era proprio quello che in quei giorni stavo cercando di capire; è per questo che ho ritenuto cruciale non interrompere quei giorni in cui ero con lui, anche quando ho avuto paura che la bambina potesse stare molto male o morire". Anche l’analisi delle chat del telefono avrebbe confermato che Diana era vissuta come un peso dalla madre nelle sue frequentazioni. Madre che ha anteposto, come ha scritto il giudice Fabrizio Filice, "la possibilità di mantenere una relazione col compagno anche a costo di infliggere enormi sofferenze, culminate nella morte di Diana".