
di Nicola Palma
La moglie? "Le diamo uno schiaffo ché le facciamo girare la testa". Lui? "Io quando entro faccio boom e spruzzare". E se ci fossero bambini in casa? "Non importa! Leghiamo i bambini. Tutti...". La banda ha una missione ben precisa, da concludere a tutti i costi e senza andare troppo per il sottile: prendere "oro e diamanti", un bottino ricchissimo da "un milione di euro". Dalle frasi captate dagli investigatori emerge la spregiudicatezza dei tre rapinatori bloccati mercoledì sera in Veneto: uno, il kosovaro quarantaquattrenne Shkelzen Kastrati, è stato arrestato in flagranza mentre stava per entrare nella mega villa di un imprenditore, attorno alle 18; i due complici, lo sloveno quarantunenne Branko Markovic e il bosniaco quarantaquattrenne Amir Porcic, sono riusciti a scappare nei campi, approfittando del buio, ma sono stati intercettati poco dopo le 22 a bordo di una Mercedes con targa estera e sottoposti a fermo di indiziato di delitto.
L’operazione, che ha sventato un raid in abitazione dagli esiti imprevedibili (visto quello che i componenti della gang si dicevano in macchina), è stata portata a termine in trasferta dagli agenti della sezione "Criminalità straniera" della Squadra mobile di Milano, guidati dal dirigente Marco Calì e dal funzionario Vittorio La Torre. Tutto nasce il 22 gennaio, quando i segugi di via Fatebenefratelli, che stanno indagando (coordinati dai pm Laura Pedio e Francesca Crupi) su una serie di batterie di topi d’appartamento attive in Lombardia, seguono le tracce di Markovic e Porcic fino a Rimini: lì i continui sopralluoghi con Kastrati fanno capire che il gruppo si sta muovendo a caccia di un bersaglio ("Questa casa è come quella di Milano che dovevamo andare, sai?"). A quel punto, scatta il controllo in strada da parte di una Volante: identificazione e fotosegnalamento, i tre passano diverse ore negli uffici della Questura romagnola. Risultato: decidono di cambiare aria. Non di rinunciare al raid, però: devono solo scegliere un’altra location, che individuano a Lonigo, borgo di 16mila abitanti del Vicentino.
Nel mirino finisce una villa di campagna con tanto di campo da tennis, calcetto e piscina: cancello d’ingresso che dà su un vialetto principale con porticato, diverse vie di fuga e perimetro circondato da siepi alte poco più di due metri. I tre si sistemano in un albergo della veronese Ronco all’Adige (dove verranno poi ritrovati i loro effetti personali, due ricetrasmittenti, sei paia di guanti e 4.195 euro in contanti) e martedì 26 iniziano a monitorare l’obiettivo, verosimilmente segnalato da una persona che conosce bene quel territorio: "Sai come facciamo? Come abbiamo parlato oggi io e lui, tutti e tre entriamo dentro e leghiamo, uno esce fuori, voi due cercate, io fuori...", spiega Amir agli altri. Il 27 è il giorno del blitz: i tre si avvicinano alla villa, con loro hanno fascette da elettricista per legare eventuali ostaggi e spray urticante per disinnescare possibili reazioni delle vittime designate. Gli uomini della Mobile capiscono che non c’è tempo da perdere e si appostano a protezione dell’abitazione, insieme ai colleghi vicentini: il kosovaro viene preso subito; lo sloveno e il bosniaco poco dopo, sulla provinciale per Verona.