Ora il via libera è definitivo. Il Consiglio di Stato ha respinto l’ultimo ricorso presentato dalla ditta Sangalli Giancarlo & C. srl contro il maxi bando lanciato dal Comune per assegnare la gestione del ciclo dei rifiuti urbani nel territorio cittadino per i prossimi sette anni. I giudici hanno reputato corretta la procedura seguita da Palazzo Marino, che nel periodo di empasse legale ha continuato ad affidarsi ad Amsa, in regime di proroga, per dare continuità all’attività di raccolta, trattamento e smaltimento della spazzatura. Prima di entrare nel merito dell’intricata vicenda, serve una premessa. L’ex municipalizzata di via Olgettina si occupa da decenni del servizio: prima come “azienda speciale” dell’amministrazione, poi come società per azioni in house e dal 2001 al 2021 come spa del gruppo A2a (di cui il Comune di Milano possiede il 25% delle quote al pari del Comune di Brescia).
Nel 2020, in vista della scadenza del contratto ventennale, il Consiglio comunale ha individuato nel documento unico di programmazione annuale “gli obiettivi ambientali innovativi da perseguire aprendo il servizio al mercato, con il contestuale mantenimento dell’omogeneità degli standard qualitativi e delle condizioni economiche su tutto il territorio comunale”. Così il 31 dicembre 2020, la Giunta Sala ha varato la maxi gara da 2 miliardi di euro, stabilendo che l’aggiudicazione dovesse avvenire secondo i criteri dell’offerta economicamente più vantaggiosa e del miglior rapporto qualità-prezzo. L’impresa Sangalli ha impugnato il bando, contestando in particolare la scelta di prevedere un unico lotto per l’affidamento dell’appalto. In particolare, i legali dell’azienda brianzola, presieduta dall’ex magistrato Alfredo Robledo, si sono concentrati sulle eccezionali dimensioni dell’appalto (“11.558 oltre la soglia europea”) e sulla presunta violazione delle regole della concorrenza, “in quanto il lotto costituisce una rilevante barriera di accesso al mercato”.
Dal canto suo, il Comune ha motivato la decisione sulla base della relazione tecnica, allegata alla delibera, redatta dai tecnici del Centro studi in Economia e regolazione dei servizi, dell’industria e del settore pubblico (Cesisp) dell’Università Bicocca. In quel report, gli accademici hanno affermato che la suddivisione in lotti avrebbe determinato “delle diseconomie di scala dovute a un incremento dei fattori impiegati nella produzione del servizio stimabili in un costo più elevato per circa 17,3 milioni di euro”. Inoltre, sul grado di contabilità del mercato, è stato calcolato che “i vincoli di partecipazione” inseriti permettono comunque “la partecipazione di almeno sei operatori nazionali”; senza contare che, in caso di associazioni temporanee di impresa con partecipazione paritaria, il numero potrebbe salire fino a quota 55 “possibili combinazioni”, con il solo riferimento al “panorama italiano”. Di contro, sostiene sempre il dossier, “la scelta di frazionare il territorio comunale in aree potrebbe generare un primo interrogativo in ordine alle modalità di computo e di addebito dei corrispettivi del servizio”.
Forte di questi ragionamenti, in primo grado il Tar ha dato ragione a Palazzo Marino. E lo stesso ha fatto, quattro giorni fa, il Consiglio di Stato: il collegio presieduto da Luigi Carbone ha ritenuto giustificata la deroga al principio della suddivisione in lotti e rispettate le regole della concorrenza. Entando nel dettaglio, i giudici hanno valorizzato l’importanza di garantire “un comportamento uniforme” con tutta l’utenza e bollato come “generiche e non chiare” le contestazioni di Sangalli su economie di scala, calcoli del costo per abitante, comparazione con altre città e mancanza di interconnessione tra servizi. Conclusione: ok alla gara.