ANNAMARIA LAZZARI
Cronaca

Cadorna, sfratto all'ultimo barbiere in stazione

Da 40 anni fa barba e capelli ai viaggiatori in Cadorna: "Prima del Duemila gli affari andavano a gonfie vele Poi è arrivata la crisi..."

Michele Carbutti, 65 anni, apre la porta del suo salone (Newpress)

Milano, 19 dicembre 2017 - «I Carbutti parrucchieri ed estetica», sotto la stazione ferroviaria di Cadorna, è l’ultimo avamposto della tradizione dei diurni milanesi: quei saloni sotterranei dedicati alla cura della persona, aperti nei primi decenni del secolo scorso, dove si davano una «sistematina» viaggiatori e cittadini. Il più celebre era l’Albergo Diurno Venezia sotto piazza Oberdan, in puro stile Art Déco. Il negozio di Michele Carbutti, 65 anni, non ha nulla di quell’eleganza Anni ’20, ma ha oltre 40 anni di attività da difendere: «Mi è arrivata la disdetta del contratto d’affitto da Ferrovienord: scade fra due settimane. Il 31 dicembre sarà il mio ultimo giorno di lavoro»...

Signor Carbutti, ci racconti come ha cominciato.

«Mio padre ha lavorato qui sette anni come parrucchiere, ma era un dipendente. Io facevo il perito chimico. Quando lui prese in mano l’attività mi disse di seguirlo. Era l’aprile 1977. Allora il Diurno di Cadorna includeva diverse attività, oltre alle docce, che poi hanno chiuso».

Come sono stati i decenni successivi?

«Bellissimi. Durante gli Anni ’80 e ’90 gli affari andavano a gonfie vele. Il negozio si estendeva su una superficie maggiore di quella attuale, circa 300 metri quadrati. Avevo tredici collaboratori: cinque parrucchieri per donna, altrettanti per uomo, e tre estetiste. E fino a duecento clienti al giorno».

Tutta clientela di passaggio diretta ai treni?

«La maggior parte non erano pendolari ma i residenti “bene” della zona».

Qualche vip?

«Un giovane Antonio Albanese, ancora all’inizio della carriera: era venuto qua prima di registrare la prima puntata di “Mai dire gol”. Mi disse poi che gli avevo portato bene perché il programma era stato un successo. Da buon attore superstizioso, lo rividi diverse volte. Vasco Rossi è capitato invece solo una volta: aveva rotto la macchina e doveva andare a Varese in treno. Portava ancora i capelli lunghi. Un tipo decisamente simpatico».

Quando è arrivata la crisi?

«Dopo il Duemila, con il progetto di rifacimento che ha coinvolto l’interno della stazione e piazzale Cadorna. Per un anno sono stato trasferito nella palazzina di fronte. Mi era stato promesso che al ritorno mi sarebbe stato dato un negozio al piano superiore, dentro la stazione. Ma non è stato così. Mi hanno confinato nello spazio sotterraneo, ridotto però a 60 metri quadrati. Hanno tolto l’insegna luminosa al piano sopra. Al mio fianco sono sorte due enormi toilette. I clienti sono cominciati a diminuire drammaticamente e ho dovuto licenziare il personale. Siamo rimasti io e mia figlia Valentina. Ci sono giorni in cui non entra nessuno».

La sorpresa dello sfratto?

«L’anno scorso. Devo lasciare il negozio fra pochi giorni. Ho cercato di avere colloqui chiarificatori. Ma nessuno mi ha dato retta».

Qual è la sua richiesta?

«Una piccola attività al piano superiore. Io “devo” lavorare. Per pagare l’affitto in questi anni di agonia – 40mila euro all’anno fino a sei anni fa, poi ridotto alla metà – ho bruciato tutti i risparmi. Ma non volevo disobbedire a mio padre che diceva: “Un uomo vero paga sempre i suoi debiti”».