Milano, 14 settembre 2024 – Lunedì 29 luglio al piano terra del palazzo di giustizia di Milano c'è trambusto. Un uomo che ha varcato l'ingresso dopo avere passato i controlli sembra in stato confusionale. Piange, farfuglia parole poco chiare. Alcuni poliziotti lo avvicinano con delicatezza, gli parlano, lo tranquillizzano. Erano stati avvertiti che D.C., 41 anni, titolare di un bar nel quartiere di Città Studi di Milano, si sarebbe presentato in tribunale per "farla finita" a causa di gravi problemi economici maturati nella sua attività. La sua storia, spiega Paolo Bocedi dell'Associazione antiracket e usura che ha allertato la questura sul blitz in tribunale, è "simile a quelle di tanti altri baristi a Milano". Nella “città da bere”, resa famosa negli anni Ottanta dalla nota e iconica pubblicità di un amaro, chi è al bancone spesso fatica a sopravvivere. Un giornalista dell’agenzia Agi lo ha incontrato nel suo bar prima dell’arrivo dei clienti per l'aperitivo. È molto scosso ed è in sciopero della fame perché attende da quattro mesi una decisione della magistratura sul suo caso.
"Gestisco questa attività dal 2 marzo 2020, dopo pochi giorni abbiamo chiuso per il Covid – è il suo racconto –. Siamo io, la mia compagna e due dipendenti. Dopo la pandemia abbiamo scelto di fare un solo turno, dalle 17 alle due di notte perché il volume d'affari e' diminuito. Ho 41 anni, faccio questo lavoro da 22 anni, mi piace, la mia soddisfazione è quando il cliente torna. Ho sempre pagato tutti: fornitori, dipendenti, magari posso ritardare nel pagamento ma arriva sempre. Ci ho sempre tenuto a mantenere un ambiente sereno. Tutto quello che avevo da parte l'ho messo in questa attività quando ho rilevato le mura e gli arredi. Dopo la pandemia, abbiamo superato anche l'aumento delle bollette, quando la gente spendeva molto meno. Fatto sta che all'inizio del 2024 avevo pagato tutto attraverso l'acconto e le cambiali, onorato le rate delle banche e ho cominciato a respirare". Il prezzo di acquisto del bar è di 300mila euro: 200mila tramite assegno circolare e 100mila mediante 71 rate dal primo maggio 2020 al primo ottobre 2026. È questo il punto in cui la situazione si complica.
L’inizio di un incubo
"C'erano delle cambiali che avevo 'lasciato' qualora non avessi pagato e chi mi ha ceduto l'attività – continua a raccontare in preda alla disperazione il barista – avrebbe potuto incassarle a garanzia del pagamento. A marzo invece mi arriva una chiamata da questa persona che pretende il versamento delle cambiali. Mi sono ritrovato così tre mensilità con delle cambiali versate per un totale di 10500 euro che io non ho pagato perché, questo lo provano dei documenti, non avrei dovuto pagare". Il suo avvocato, Massimiliano Lanci presenta una denuncia per truffa e appropriazione indebita alla Procura di Milano, nella quale si legge che l'ex proprietaria del bar "ha incassato una parte delle cambiali poste a titolo fiduciario" e "non ha restituito il deposito fiduciario a D.C.". All'inizio di maggio il legale chiede alla Procura di "sequestrare le cambiali non ancora portate all'incasso del valore di circa 1400 euro ciascuna depositate a titolo di deposito fiduciario e infruttifero". Da quel momento inizia quello che Costa (il cognome del barista, ndr) definisce "il mio film dell'orrore". La casella della posta si intasa di raccomandate con allegati gli atti di precetto.
"Ho pensato di farla finita...”
"La mia società è protestata per quelle cambiali che non dovevo pagare e la mia unica casa è stata pignorata. Con questa situazione, dice la banca, non posso avere l'allungamento delle rate dal Confidi, l'ente di garanzia, ma devo pagare subito". Torniamo alla mattina del 29 luglio. "Devo ringraziare i poliziotti, avvertiti da Bocedi. Sono andato in tribunale per fare... una cavolata. Chiedo solo che arrivi presto una decisione, non importa quale. Non pretendo che mi venga data ragione anche se penso di averla. Ma che vengano sequestrate le cambiali per non morire prima ancora che si decida se ho torto e che la giustizia non mi lasci in questo stato di disperazione nell'attesa che decida. Ho scritto anche una lettera al magistrato che si occupa del mio caso dicendo che non so quanto potrò reggere ancora a questa attesa".