
I vecchi capi della gang salvadoregna arrestati nel 2015
Milano - "Quando toccano la Bestia, spacchiamo tutto". Un gruppo di feroci pandilleros, legati da un vincolo quasi indissolubile: chi voleva uscire per coltivare in privato i suoi interessi illeciti doveva chiedere il permesso al capo supremo; e in ogni caso doveva comunque contribuire alla cassa comune. L’obiettivo intermedio, per usare le parole del gip Stefania Donadeo, era "la sopravvivenza" dell’organizzazione, "il suo rafforzamento, il sostentamento e il consolidamento del suo radicamento territoriale". Quello finale era "il conseguimento di una condizione di supremazia, sia fisica che territoriale, rispetto alle altre bande di strada interne alla comunità latinoamericana". E ovviamente, come ogni associazione a delinquere che si rispetti, i rifondatori del Barrio 18 a Milano avevano una serie di stringenti regole da seguire: mai dare indicazioni sulla struttura della gang; rispettare e obbedire ai superiori; aggredire gli avversari; partecipare a tutte le riunioni convocate dal leader; pagare la quota mensile. Un decalogo che gli investigatori della Squadra mobile hanno ricostruito da intercettazioni e pedinamenti e di cui all’alba di ieri hanno avuto prova perquisendo la casa del ventiseienne Luis V. a Cologno Monzese e trovandoci un foglio di carta con 26 comandamenti.

Il blitz dei poliziotti, guidati dal dirigente Marco Calì e dal funzionario Vittorio La Torre, si è chiuso con l’arresto di 17 appartenenti alla "Cancha" italiana della spietata banda con radici ben piantate nello Stato centramericano di El Salvador e datate propaggini in Lombardia: in manette sono finiti, tra gli altri, il capo venticinquenne Alexander Yovany Santacruz Ramirez detto Labio, il Palabrero per tutta Italia residente a Corsico, e i vice ventiseienni Josue Jeremias Hernandez Ramirez alias Coqueta e Pablo Yovany Castellanos Alvarado detto Vida. I loro territori privilegiati: Lambrate (la loro "Casetta" con i simboli della fazione Revolucionarios era all’ex fabbrica Innocenti di via Rubattino), Cologno Monzese e Vigevano.
L’indagine, coordinata dall’aggiunto Laura Pedio e dal pm Francesca Crupi, scatta alle 21.30 del 12 luglio 2020: nel corridoio di un autobus della linea 93, fermo in via Valvassori Peroni, c’è un salvadoregno di 23 anni a terra, colpito da una raffica di fendenti a petto, gola e schiena. I testimoni parlano del raid di cinque ragazzi: in due sono saliti dalla porta centrale, in tre da quella posteriore; poi uno di loro, Vida, lo ha accoltellato più volte, nonostante l’altro abbia cercato in tutti i modi di difendersi.
Il motivo del blitz: il giovane frequenta alcuni componenti degli acerrimi nemici della Ms13, l’altrettanto efferata Mara Salvatrucha. Gli accertamenti investigativi a ritroso riescono poi ad attribuire al Barrio pure l’aggressione in piazza Bottini di un uomo massacrato e rapinato della collana d’oro solo perché conoscente di un affiliato alla Ms. E ancora: tra le accuse figurano pure un agguato con una bottiglia rotta per rubare una catenina e una maglietta, una serie di furti di biciclette poi rivendute su Facebook per fare cassa e diverse cessioni di marijuana. Senza dimenticare che tre dei pandilleros sono stati fermati alla fine dello scorso anno per la rapina di una pistola Glock a una guardia giurata libera dal servizio sul treno Porta Genova-Mortara. Negli atti emerge che Labio e compagnia erano sempre a caccia di soldados da arruolare, e che per diventarlo era obbligatorio sottoporsi a un rito di iniziazione. La prova da superare: un pestaggio.