Milano – L’album di famiglia della Nord nelle parole di chi l’ha guidata. Ritratti e retroscena su leader e luogotenenti che si sono alternati al vertice del secondo anello verde di San Siro, molti dei quali finiti in cella nell’operazione “Doppia Curva” che tre mesi fa ha smantellato quella che per gli inquirenti era diventata un’associazione a delinquere.
A colorare gli identikit, in buona parte già delineati con precisione dal lavoro degli investigatori, è stato Andrea Beretta, che ha deciso di collaborare con la giustizia e di raccontare tutto quello che sa sull’indotto nero del Meazza al capo della Dda Alessandra Dolci, ai pm Sara Ombra e Paolo Storari e ai poliziotti della Squadra mobile. L’avvertenza è d’obbligo: il punto di osservazione, privilegiato quanto distorto, resta quello di un omicida e picchiatore pluridaspato (per quanto ora rinnegato da chi è rimasto per la sua scelta da “infame” di pentirsi), che ha sempre usato un metro di giudizio esclusivamente criminale per dividere il mondo in buoni e cattivi.
Durante l’interrogatorio del 23 novembre, come emerge dalla trascrizione (con diversi omissis) depositata in vista del giudizio immediato del prossimo 20 febbraio, i magistrati mostrano a Berro una carrellata di istantanee in bianco e nero. Foto 1: “Riconosco Vittorio Boiocchi”, il pregiudicato meglio noto come Lo Zio che lo scelse come numero due dopo aver riconquistato il comando del tifo organizzato nerazzurro e che fu poi assassinato sotto casa il 29 ottobre 2022 da due sicari ancora senza volto.
Foto 2: “Renato Bosetti. Diciamo che è il bagarino della Curva Nord, quello che aveva un bacino d’utenza, avendo anche un Inter Club riconosciuto. È molto abile nella vendita dei biglietti, era vicino a Mimmo Hammer (Domenico Bosa, ndr) per quanto riguardava la linea di abbigliamento “Educazione Ambrosiana”, ha un circolo lì a Baggio, sotto i portici, si frequentava assiduamente con Vittorio Boiocchi”.
E arriviamo a Marco Ferdico, membro del triumvirato (completato dallo stesso Berro e da Antonio Bellocco) che si è preso il potere dopo l’omicidio dello Zio: “Gestiva tutto il ticketing dei biglietti in trasferta e in casa”. I pm gli chiedono se abbia mai partecipato a scontri con ultrà rivali. Beretta replica che “non è uno che... di queste cose qua”, ma il cambio di ruolo l’ha comunque spinto a esporsi di più pure su quel fronte: “Se sei un leader, devi essere uno che comunque si butta. Poi magari le prendi, però ti devi buttare. Ha partecipato anche a uno scontro quando siamo stati attaccati in Spagna (a Valencia, ndr)”.
Poi c’è Ferdico senior, Gianfranco: “Diciamo che non ha un rapporto di padre-figlio, ma è un complice, sempre... negli affari di Marco c’è sempre il padre... lui veniva in curva. Lui ha portato il figlio in curva nel gruppo dei Viking all’inizio, il figlio piccolo, è sempre venuto anche lui in curva”.
Altro scatto: “Nino Ciccarelli. Diciamo che è l’ultrà per eccellenza, solo che c’ha il vizio del... si droga, beve... gli voglio un bene dell’anima perché è un vero ultrà, è uno che non si tira indietro negli scontri... potrebbe essere lui il capo, potrebbe essere lui il capo riconosciuto da tutti, ma purtroppo c’ha questi vizi qui che ogni tanto quando è non capisce più un c. Però è un leader, nel senso gli vogliono tutti bene...”.
E a quel punto Beretta riscrive pure la storia di un episodio che aveva coinvolto lui e uno dei gemelli Morra, Matteo, vale a dire il pestaggio (con coltellata) del 26 febbraio 2015 a un giovane ghanese in corso Como: quella, ha messo a verbale, fu una spedizione punitiva per vendicare Ciccarelli, che qualche giorno prima avrebbe difeso due turisti gallesi da un tentativo di rapina fuori dall’Hollywood e si sarebbe preso una sassata in faccia.
Dopo una rapida descrizione di Franco Caravita, “persona in gamba a livello di stadio” poi estromessa da Boiocchi, e di Francesco Intagliata alias Buzzero, che provocò frizioni con il suo alter ego della Sud Luca Lucci, ecco Mauro Nepi e Matteo Norrito, pure loro finiti in cella il 30 settembre come gli altri che abbiamo citato eccezion fatta per Ciccarelli e Caravita. Il primo, secondo Beretta, avrebbe avuto pure “la presenza fisica” e “il pugno” per stare al suo livello, ma si sarebbe tirato indietro più volte per paura che una diffida potesse privarlo del ruolo di lancia-cori in transenna: “Lui gli piace tanto il discorso di avere il microfono, di far cantare la gente, a livello social, a livello di immagine...”. E l’ex pugile che tutti chiamavano Chuck? “Se c’è da scontrarsi c’è, questo è uno che c’è. Quando c’è stato il problema sugli spalti, con quel personaggio là degli Ultras, si è fatto avanti lui. È un grandissimo lavoratore”.