
Monsignor Marco Ballarini, prefetto della Veneranda Biblioteca Ambrosiana
Milano, 7 ottobre 2018 - Alla parete è appesa la tela “Paradiso” di Palma il giovane (1588). Allineati in una vetrina i volumi di “Dei delitti e delle pene” di Cesare Beccaria, le tante edizioni tradotte all’estero che portarono nel mondo la Milano colta e tollerante della metà del Settecento. È lo studio di monsignor Marco Ballarini, prefetto della Veneranda Biblioteca Ambrosiana, fondata nel 1607 dal Cardinale Federico Borromeo: oggi è un luogo di pace, sapienza e dialogo fra differenti culture, religioni, storie. «L’Ambrosiana è un rifugio - racconta - nei desideri del fondatore tutto era in funzione del bene della chiesa e di Milano, il bene comune».
Qual è la prima immagine della città che ricorda?
«L’arcivescovado e il Duomo. Bambino, durante l’oratorio feriale, visitavo le terrazze. Divenuto sacerdote, poi insegnante al Seminario, ogni tanto andavo a incontrare l’arcivescovo; dal 1994 appartengo al Collegio dei dottori dell’Ambrosiana e vivo qui».
Cosa significa esserne diventato il prefetto?
«Ho meno tempo per studiare, devo mettere in contatto tutti sia all’interno che all’esterno dell’Ambrosiana. È importante non rimanere isolati, avere collaborazioni con altri musei, con il Comune e le istituzioni».
L’Ambrosiana è da secoli luogo di conservazione, studio e ricerca. Cosa i visitatori devono ancora riscoprire o scoprire?
«Stiamo ultimando il restauro del cartone preparatorio della “Scuola di Atene” di Raffaello, verrà sistemato nella sua sala corredata da strumenti per la presentazione; l’anno prossimo esporremo i disegni più belli di Leonardo. Da scoprire, per il pubblico, resta quasi tutta la biblioteca, facciamo e faremo mostre con i manoscritti, a volte portiamo piccoli gruppi ma la maggior dei visitatori vede solo la pinacoteca».
Nel Seicento Federico Borromeo raccolse testi, documenti provenienti da tutto il mondo per creare un “servizio universale”. Questo spirito continua?
«In Ambrosiana c’è un’accademia con diverse classi, la prima è stata creata per studiare San Carlo e l’epoca borromaica, poi è nata quella su Sant’Ambrogio e tante altre fra cui l’Accademia del vicino Oriente, ebraico, arabo, dell’estremo Oriente cinese, giapponese, indiano, l’Accademia di studi classici, italianistica. L’ultima arrivata è quella africana. Ogni anno ciascuna accademia organizza un suo convegno, nel 2020 ogni classe si fermerà per un incontro sul progetto culturale di Federico Borromeo. Il bene per lui significava ricerca della verità, poterla confutare; l’Ambrosiana era uno dei grandi strumenti della riforma cattolica, un’offerta di cultura immensa, non solo ecclesiastica, ma per chiunque».
Vuole consigliare due autori per capire i nostri tempi?
«Dostoevskij pone tanti interrogativi ancora oggi non risolti. La bellezza che salva il mondo è quella che ricostruisce il Paradiso sulla terra e per lo scrittore si può fare solo sentendosi responsabile di tutti e tutto. Bernanos per l’idea di una presenza invisibile che può diventare decisiva, soprattutto nella figura dei suoi preti».