Milano – Il diploma all’istituto Feltrinelli, dov’è diventato perito in costruzioni aeronautiche, poi l’atterraggio tra libri e illustrazioni in punta di china, la sua vita: dopo quarant’anni di lavoro per il Comune di Milano, tra gli scaffali e gli archivi della Biblioteca Sormani, va in pensione Giuseppe Corti, bibliotecario-illustratore.
Dall’aeronautica all’editoria: un bel volo. Com’è cominciato tutto?
“All’inizio volevo studiare informatica, poi mi sono guardato allo specchio: “Cosa potrei fare per affascinare una ragazza e rubarle tre secondi di attenzione? Costruzioni aeronautiche (sorride). Dopo il diploma non sapevo bene cosa fare, dovevo assolvere il servizio militare e mi sono preso un anno sabbatico. Poi mi sono iscritto all’università: Agraria. Ma alla fine continuavo a disegnare attorno agli appunti. Tecnico e scientifico non erano la mia “cup of tea“”.
E quei disegnini non erano proprio scarabocchi...
“Sono finito prima in uno studio editoriale come correttore di bozze, nel 1982 o giù di lì. Poi ho partecipato a una selezione per la biblioteca e parallelamente ho cominciato con le illustrazioni, mosso dall’invidia: leggevo i fumetti di Milton Caniff e mi dicevo: “Son troppo belli, voglio essere in grado di farli anch’io“. Ho cominciato copiando, cambiando abiti, espressioni”.
Quando è diventato un lavoro?
“Mentre facevo part-time il correttore di bozze e part-time il bibliotecario, una persona dello studio ha parlato dei miei disegni ed è arrivato il mio primo impegno di lavoro: una quarantina di illustrazioni per il mondo musicale e la casa editrice Ricordi. Mettevo in scena - accanto ai testi - musicisti, pentagrammi e strumenti. Ero appena stato lasciato da una ragazza, erano finiti quei tre famosi secondi di attenzione, e col cuore a pezzi ho illustrato quella bellissima antologia”.
La prima di una serie?
“Sì, sempre tra bozze e biblioteche, mi sono occupato di antologie scolastiche, che all’epoca cambiavano ogni due o tre anni. Ogni volta si cominciava da capo: ti davano le architetture delle pagine e dovevi completare gli spazi bianchi. Ovviamente ti capitava una striscia orizzontale accanto a una storia di giganti e uno spazio verticale per i nani. Parliamo di un centinaio di illustrazioni per volumoni da 400 pagine, da finire in tre mesi”.
A chi si ispirava?
“Da Milton Caniff ai fumetti del Corrierino, come i Puffi o Lucky Luke. E a tutto il filone della ligne claire, che continua ai giorni d’oggi, con Tintin e Asterix: contorni ben definiti, colori vivaci complementari e tantissimi particolari. Adoro i particolari, mi ci perdo. Ho lavorato come illustratore per 20 anni, non esistevano sabati e domeniche”.
Ha coltivato la sua arte anche in biblioteca?
“Sì, a un certo punto ho vinto il concorso come assistente di biblioteca e mi sono trovato a lavorare nella comunicazione e per gli elenchi della Biblioteca Sormani. Mi occupavo di dépliant, cataloghi delle mostre, locandine. Presentavamo tanti libri in biblioteca, anche tre o quattro alla settimana”.
Ha ricreato anche tutta la mappa della baraccopoli di Miracolo a Milano, frame dopo frame: ora è in mostra in biblioteca a Lambrate. Un’impresa.
“Me lo aveva chiesto il collega Sergio Seghetti: “Conosci qualcuno che possa farlo? Non esiste una veduta d’insieme del set“. Non ho fatto in tempo a dire “magari potrei“ che mi ha affidato l’incarico. Ho cominciato con una veduta dall’alto, mi sono studiato la prospettiva e ho disposto capanne e personaggi, mettendoli in comunicazione tra loro. Ho pensato a cardo e decumano, come per l’Expo. Facevo schizzi a matita e ingrandivo: così per due fogli da 70 per 100. Ho cominciato a novembre del 2019, sono riuscito a finirlo a giugno 2020 solo perché è arrivata la pandemia. Traccia a matita e poi tutto ripreso a china e ombreggiato con la matita. Per realizzarlo mi sono fatto prestare un tecnigrafo del ’52, che era nel solaio del padre della mia compagna, da 83 tonnellate. È tornato in pensione”.
Per la sua di pensione i colleghi le hanno organizzato una mostra in Sormani, con le sue illustrazioni. Una sorpresa?
“Assolutamente sì, non me l’aspettavo. Avevo smesso di lavorare come illustratore una ventina d’anni fa, un po’ per ragioni di famiglia, un po’ perché volevo arrivare a un risultato e non ero mai soddisfatto. Però in tutti questi anni per i miei colleghi sono stato un jukebox: “Va in pensione lui, fagli un bigliettino, dai“, “Va in pensione lei, ci pensi tu?“ e via così. Tra gli ultimi lavori di cui vado fiero, quello che ho regalato a una collega: l’ho rappresentata a colloquio con Stendhal nell’argenteria della Sormani, salvata dai bombardamenti, con cognac, caffè e manoscritti ovunque”.
E adesso che si fa? Ha un progetto nel cassetto?
“Sì, l’ho cominciato tre anni fa: 16 tavole sulla vita di Carlo Porta, dal battesimo agli incontri, fino agli autori tradotti. Non avevo mai tempo per finirlo. Ora mi tocca l’avventura di vivere questa maledetta pensione, che dicono dia libertà. Quello che viene sarebbe un anno del Porta: è nato nel 1775, 250 anni il 15 giugno... ma non prometto nulla”.