
I poliziotti presidiano il centro città nei giorni del Salone del Mobile A sinistra, agenti motociclisti mentre percorrono corso Vittorio Emanuele Sopra, una Volante all’ingresso di piazza Duomo (Foto Salmoirago)
Milano – Si muovono tra la folla che satura i portici di corso Vittorio Emanuele. Passano accanto ai turisti che osservano distrattamente le vetrine. Scrutano il popolo del Fuorisalone che colonizza per una settimana la metropoli-vetrina, in coda sotto il sole per ammirare un’installazione o accaparrarsi un gadget. Questo incipit potrebbe valere per entrambi i gruppi in campo: da una parte, ci sono ladri, borseggiatori e scippatori, sostantivi da declinare pure al femminile; dall’altra, ci sono gli agenti in borghese che li cercano come un ago in un pagliaio. Sì, perché i movimenti e i comportamenti sono giocoforza molto simili: i predatori di passanti si guardano costantemente intorno, pronti ad abbandonare il bersaglio nel caso si sentano braccati da vicino (e a volte capita che immaginino poliziotti dove non ci sono); i predatori di predatori fanno più o meno lo stesso per catturarli, con gli occhi che non smettono di scandagliare l’orizzonte neppure in pausa caffè.
Con questi ultimi abbiamo trascorso un venerdì pomeriggio nelle vie del centro: sono in ventuno su tre turni (mattino, pomeriggio e sera), anche se per loro gli orari finiscono spesso per diventare solo numeri sul tabellone in ufficio. Gli specialisti che la Squadra mobile schiera tutti i giorni in strada sono coordinati dal dirigente Alfonso Iadevaia e dal funzionario Filippo Bosi: di recente, i mutamenti di obiettivi e modalità d’azione della criminalità hanno richiesto un parallelo cambio di focus anche agli investigatori del “Contrasto al crimine diffuso” (la sesta sezione di nove), con attenzione ulteriormente rafforzata ai reati predatori. Le statistiche restituiscono in parte il lavoro quotidiano, ma sono tutt’altro che trascurabili: dall’inizio del 2025 a oggi, gli arresti sono arrivati a quota 100; a questi vanno sommate una trentina di denunce a piede libero. I conti sono presto fatti: una persona in cella ogni 24 ore. Numeri che crescono di valore se inseriti nel contesto in cui operano i segugi di via Fatebenefratelli. Certo, a volte la sensazione di chi osserva dall’esterno potrebbe essere quella di svuotare il mare con le mani, ma i diretti interessati rifuggono la metafora senza alcuna titubanza.
Del resto, ci sono parole che in un attimo restituiscono senso a un’attività sfiancante (e che rischia di diventare frustrante): dopo una prima fase resa farraginosa da stupore e barriera linguistica nel caso degli stranieri, ecco i ringraziamenti di cuore di coloro a cui vengono restituiti un portafogli, una borsa o uno smartphone che pensavano di aver perso per sempre.
“Quelle reazioni ci ripagano di tutto quello che facciamo, c’è la loro vita lì dentro”, sintetizza Bosi. È il caso, ma se ne potrebbero citare tanti altri, di una cinquantatreenne taiwanese che a inizio settimana è stata derubata a due passi dal Castello da due rom incinte di 26 e 29 anni. Dopo le manette, sono scattate le operazioni per rintracciare l’asiatica che non si era accorta di nulla: l’attivazione dei canali diplomatici ha permesso di mettersi in contatto con lei per restituire la refurtiva. Nelle stesse ore, alla Fiera di Rho, sono stati bloccati altri cinque: due romeni di 24 e 50 anni avevano appena depredato un coreano di 200 euro; un trentenne cubano e due peruviani (lei di 32 anni e lui di 48) avevano invece provato a sparire con lo zaino di una cinese.
Alle 15 si parte. Siamo in piazza Duomo. I contatti via Whatsapp sono costanti: il telefono di Bosi squilla in continuazione, le chiamate condivise durano minuti. La connessione costante tra i componenti del gruppo – che si muovono preferibilmente da soli o al massimo in due per non dare troppo nell’occhio – è fondamentale per coordinare movimenti e incrociare percorsi: le decisioni necessitano di rapidità, sebbene una delle doti richieste, forse la più importante, sia la pazienza. Serve calma zen per pedinare un possibile sospetto: i nuovi non ci sono abituati, capiranno dopo un lungo addestramento sul campo che l’obiettivo si centra in fondo a una gara da mezzofondista e non al traguardo di uno sprint da velocisti. Comandamenti che vengono tramandati ai più giovani dai più esperti, che portano in dote quel patrimonio di conoscenze.
È il know how inestimabile e a “rischio desertificazione” cui il questore Bruno Megale ha dedicato un passaggio non banale del suo discorso per il 173° anniversario della fondazione della Polizia di Stato, con tanto di esortazione “a ripensare a un piano di investimenti per l’abitare riservato ad alcune categorie di servizi pubblici essenziali”.
Le false piste sono dietro l’angolo: “Doc, ci sono quei due che continuano a guardarsi e a voltarsi. Li seguiamo. Uno si è fermato, l’altro è andato avanti. Poi si sono riuniti e si sono separati ancora. Uno è sceso a Turati”. Giù in metropolitana, si viaggia sulla linea gialla. All’arrivo del treno, i segugi dell’anti-borseggio entrano ed escono sempre per ultimi: indugiano sul limitare delle porte fino all’ultimo istante perché sanno che la salita e la discesa dei passeggeri sono i momenti in cui i professionisti (o le professioniste) dei raid sottoterra trasformano le banchine in terreno di caccia. Alla fermata Monte Napoleone, l’allerta rientra. Si torna al punto di partenza. I maratoneti con l’auricolare si spostano verso via Torino, altra arteria critica coi suoi mille negozi che affacciano su marciapiedi troppo stretti per arginare la fiumana nell’ora di punta dello shopping. Le insegne più frequentate dal popolo degli acquisti sono le tappe fisse da non saltare mai. Così come è vietato rinunciare a un controllo veloce su qualcuno di potenzialmente interessante: “Un paio di minuti non si negano a nessuno”, la battuta che nasconde ore di fatica e suole consumate.
Tanto poi si ricomincia, in direzione Buenos Aires. Ormai sono le 18: basta una “vasca” da Lima a piazza Argentina per sondare il terreno, con gli ambulanti agli incroci che ogni tanto dispensano qualche dritta e i vigilantes in giacca e cravatta che sorvegliano gli ingressi delle boutique. Altro giro, altra meta: ci si trasferisce a Brera, nel cuore della movida da Design Week. La squadra montante è già sul posto. Per quella smontante non è ancora tempo di tornare a casa.