
L’arresto del presunto boss nell’operazione condotta da polizia e guardia di finanza
Milano – Il processo a carico del presunto boss della mafia turca Baris Boyun, uno degli uomini più ricercati da Ankara, si è aperto davanti alla Corte d’Assise di Milano, mentre a Roma è in corso un braccio di ferro con la Turchia sull’estradizione.
Un caso internazionale che ha visto aggiungersi una memoria dell’ambasciata turca, inoltrata al ministero della Giustizia, per rassicurare sulle condizioni nelle carceri del Paese guidato da Erdogan, in questi giorni al centro di manifestazioni dopo l’arresto del sindaco di Istanbul e leader dell’opposizione Ekrem Imamoglu. “Il valore calorico medio giornaliero per una persona è stato determinato in 2300 calorie”, si legge nel documento sul capitolo cibo. Poi vengono vantate “attività sportive come calcio, pallavolo, pallacanestro, ping pong e badminton, scacchi e dama”, attività “sociali e culturali”, biblioteche nelle carceri con un totale di “1.400.000 libri” a disposizione, programmi di “gestione della rabbia, di lotta al fumo e all’alcol”. E poi “camere singole in un minimo di 11 metri quadrati e un massimo di 16”.
Rassicurazioni finite sul tavolo dei giudici romani che si stanno occupando della richiesta di estradizione del curdo Boyun e di uno dei suoi presunti complici, il connazionale 30enne Okan Bingol, difeso dall’avvocato Daniele Francesco Lelli. “È accusato anche di reati che non può aver commesso – spiega – perché si trovava in carcere”. Una prima richiesta di estradizione di Boyun, accusato anche di una serie di omicidi, era stata respinta a Bologna. Su una seconda istanza deve ancora esprimersi la Corte d’Appello di Roma, dopo un rinvio dalla Cassazione. L’udienza sull’estradizione di Bingol, la seconda posizione pendente, è stata fissata invece per il 14 aprile. Due giorni dopo, il 16 aprile, Boyun, Bingol e altri imputati (tutti detenuti in Italia) compariranno davanti alla Corte d’Assise di Milano, per il processo che li vede accusati di banda armata e altri reati, legati anche al racket dell’immigrazione clandestina lungo la rotta balcanica.
Altri imputati, finiti in carcere nella maxi-operazione condotta dal Sisco della Squadra mobile e dalla Gdf e coordinata dal dipartimento anti-terrorismo della Procura di Milano guidato da Bruna Albertini, sono invece sotto processo con rito abbreviato. Una “struttura gerarchica” con a capo il curdo Baris Boyun, con a disposizione arsenali e contatti in tutta Europa per compiere, secondo le accuse, “atti di violenza con finalità di terrorismo” in Turchia. Finalità emerse anche dalle frasi intercettate dagli investigatori, ora agli atti del processo: “Ti ricordi quell’organizzazione terroristica che ha assalito i poliziotti facendosi saltare in aria? Sto addestrando i miei ragazzi nelle azioni da fedayn, attacchi kamikaze...”.