Milano – La prima email, in lingua inglese, è stata inviata dal 34enne residente a Lesmo a un indirizzo istituzionale dell’Fsb, i servizi segreti russi, che si può reperire su internet da fonti aperte. L’imprenditore, sposato con una donna che vive in Moldavia, offriva la sua collaborazione per svolgere “attività per sostenere la pace in ogni modo”, con riferimento al conflitto nell’Ucraina invasa dai russi. “Abbiamo competenze – scriveva – abbiamo strutture, abbiamo tecnologia e sappiamo muoverci”. E l’Fsb ha risposto al messaggio.
L’uomo è stato contattato infatti da un interlocutore anonimo “inserito nella struttura dell’intelligence russa”, e da lì sarebbe partito l’accordo per procurare informazioni riservate in cambio di pagamenti in bitcoin, per un valore di circa duemila euro, coinvolgendo anche il socio d’affari sessantenne, nato a Seregno e residente a Carate Brianza. Due imprenditori del settore immobiliare, appassionati di tech e legati anche dall’ideologia, perché entrambi sono “filo-russi”, come emerge dalle chat acquisite nell’ambito dell’indagine dei carabinieri del Ros coordinata dal pm Alessandro Gobbis e dall’aggiunto Eugenio Fusco.
Indagine che ha fatto emergere anche l’inquietante progetto, annotano i pm, di “costruire a Milano una rete di “case sicure“, strutture ricettive per ospitare cittadini russi in transito, omettendone la registrazione e tutelandone la privacy”. I due imprenditori, indagati per “corruzione del cittadino da parte dello straniero”, reato aggravato in quanto commesso per “finalità di terrorismo ed eversione”, potrebbero essere solo l’ultimo anello di una catena. Il sospetto, al centro di ulteriori indagini che riguardano anche la possibile presenza di agenti russi in Italia, è infatti quello dell’esistenza di una rete più ampia di italiani a libro paga degli 007 di Putin, accomunati dalle stesse idee. Gli investigatori hanno documentato infatti un incontro in un bar a Milano tra i due indagati a “un generale dell’esercito in quiescenza” (non indagato), presidente di una associazione che si occupa di geopolitica.
Lo stesso 34enne, lo scorso aprile, era andato in una caserma dei carabinieri per autodenunciarsi. Temeva di essere finito in un giro più grande di lui, vedeva il cerchio stringersi dopo aver incassato quei bitcoin veicolati attraverso una diffusa app finanziaria specializzata anche nello scambio di criptovalute. Pagamenti “effettuati dal servizio russo Fsb o da una sua entità di copertura”, interessato alla “zone grigie“ non coperte dalle telecamere e, tra le varie informazioni, anche a dossier su un imprenditore specializzato nei droni.