
Mario Ferrandi impugna la pistola durante la sparatoria di via De Amicis a Milano nel 1977
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Parla di "verità e riconciliazione" la ministra della Giustizia Marta Cartabia. E ripete che l’estradizione degli ex terroristi non è sete di vendetta ma "bisogno di chiarezza", alla base di ogni percorso di uscita dalla follia di quegli anni, come già avvenuto con gli ex della lotta armata rimasti in Italia. "È un discorso apprezzabile. Però la commissione che la ministra cita come esempio, quella per la riconciliazione nel Sudafrica dopo l’apartheid, in cambio del racconto di verità dei protagonisti prevedeva la rinuncia, da parte dello Stato, ad esercitare il proprio potere punitivo". Ex ragazzo di Potere operaio transitato a metà degli anni ’70 nelle Brigate comuniste e nella lotta armata, Mario Ferrandi, oggi 63 anni, non parla per sentito dire. Era in via De Amicis, armato, il 14 maggio del ’77 quando il vice brigadiere Antonino Custra venne ucciso da un proiettile che lo colpì in fronte. Il 19enne ex studente del liceo Manzoni era vicino all’altro ragazzo col passamontagna che in mezzo alla strada sparava tenendo la pistola a braccia tese e le gambe piegate, nella foto diventata simbolo degli anni di piombo. Anzi, come stabilirono i giudici diversi anni dopo, l’arma dalla quale partì il colpo mortale quel giorno fu proprio la sua, di Ferrandi. Eppure lui, a completamento di un percorso di giustizia riparativa, quella che tenta quando possibile di riannodare le vite di carnefici e vittime, trent’anni dopo tornò in via De Amicis insieme ad Antonia, la figlia del poliziotto Custra nata quando suo padre era già stato ucciso.
