È stato il telecronista di tutti, non solo perché voce della Nazionale azzurra: il carattere bonario, l’enorme bagaglio culturale, non solo in campo calcistico, come testimonia la laurea in Giurisprudenza, e lo stile sempre misurato, così lontano dalle telecronache gridate di oggi, hanno fatto di Bruno Pizzul, morto oggi a Gorizia all’età di 86 anni, un personaggio capace di riunire i tratti migliori dell’italiano.

Mai divisivo, mai sopra le righe, era legatissimo alle sue origine friulane, che non mancava mai di ricordare. Era nato a Udine, risiedeva a Cormons, in provincia di Gorizia, dove aveva mosso i primi passi da calciatore, prima di giocare con il Pro Gorizia ed esordire da professionista nel 1958 con la maglia del Catania. Un infortunio al ginocchio mise fine alla sua breve carriera da calciatore per proiettarlo in un’altra dimensione professionale e umana: quella di giornalista sportivo che lo portò nel 1969, assunto in Rai, a trasferirsi nella “grande” Milano dove ha vissuto per 40 anni e dove vivono i tre figli nati dal matrimonio con Maria: Fabio che, oltre a ricoprire il ruolo di docente al Master di Giornalismo presso l'Università Cattolica di Milano, è un giornalista ed ex consigliere regionale della Lombardia, oggi residente a Carugate; Silvia, insegnante di matematica e scienze a Milano; Anna, assistente sociale. Undici, una squadra di calcio, i nipoti che hanno allietato la sua stagione di nonno. Un nonno che non disdegnava le apparizioni in tv o alla radio.
Milano, dicevamo, e gli studi Rai di corso Sempione, dove conduceva o interveniva da opinionista in varie trasmissioni sportive, resistendo alle “sirene romane” della tv di stato, tra una telecronaca e l’altra in giro per il mondo. Tra queste la vittoria del Milan in finale di Coppa della Coppe contro il Leeds annunciata in diretta tv a Salonicco il 16 maggio 1973.
Pizzul abitava in via Losanna, una traversa di corso Sempione, da dove era comodo raggiungere gli studi Rai in bicicletta, lui, senza patente, tra i primi a utilizzarla regolarmente in città: a Milano non hai mai cambiato appartamento. Una scelta che la dice lunga sulle abitudini del giornalista, appassionato di calcio e bocce.
E il primo impatto con la metropoli? “Chi arriva da fuori resta sempre un po’ perplesso all’inizio – ricordava in un’intervista al Giorno del 2017 – soprattutto per la freneticità. Ma poi quasi tutti finiscono per fare una vita di quartiere. Anche io ho vissuto la città in questo modo, fino all’ultimo ho frequentato una serie di bar nella mia zona, dove andavo a giocare a scopa o a biliardo con gli amici. Una dimensione quasi paesana”.
Tra i locali frequentati il mitico Derby, culla del cabaret meneghino, in compagnia dell’amico Beppe Viola, e i ristoranti storici dove giornalisti, giocatori e dirigenti cenavano insieme: “L’assassino”, ritrovo rossonero, e le “Colline pistoiesi” tana nerazzurra. Inoltre Pizzul amava andare a teatro, il Nazionale era il suo preferito.
Infine, la domanda fatidica che tanti gli hanno rivolto: Milan o Inter? “Non ho mai tifato ne l’una né dell’altra – la risposta tratta dalla stessa intervista – e così finivo per indirizzare le mie simpatie a seconda del momento. Dipendeva chi erano i giocatori, gli allenatori o i dirigenti con cui avevo maggiori rapporti. Ero molto legato a Nereo Rocco, anche per motivi di provenienza, con lui ho sempre avuto molta confidenza. Conosceva bene mio padre e mi aveva visto giocare da ragazzo. Poi ho avuto ottimi rapporti con Giacinto Facchetti. Allora con i calciatori c’erano rapporti più umani, si giocava a biliardo, si facevano tornei di briscola, oggi ci si sente soprattutto sui social e il linguaggio usato è piuttosto fastidioso. A quei tempi c’erano una serie di sfottò, però c’erano anche i rapporti tra le persone”.