La battaglia l’hanno vinta i Papalia. Era iniziata nel 2017, quando il boss Rocco Papalia era uscito dal carcere dopo aver scontato 26 anni per omicidio, droga e sequestri. Era tornato nella "sua" Buccinasco, come la definiva lui, la città che insieme ai fratelli Antonio e Domenico, entrambi all’ergastolo per mafia, aveva colonizzato, piantando le radici tossiche della ‘ndrangheta alle porte di Milano.
La battaglia per usare il cortile della villetta di via Nearco, dove vive con la moglie, era cominciata poco dopo la sua scarcerazione, anche se quella villa era stata confiscata diversi anni prima, nel 2010, e nel 2014 è passata nelle mani del Comune. Un immobile che ha una storia insolita: per metà appartiene ad Adriana Feletti, moglie di Papalia, l’altra era del genero Salvatore Barbaro, marito della figlia Serafina, anche lui finito più volte nelle carte delle inchieste per la penetrazione della ‘ndrangheta al Nord, specialista negli illeciti del movimento terra. Quindi, metà della villetta era dei Papalia, l’altra era del Comune che l’aveva adibita a casa di accoglienza per minori non accompagnati di un progetto terminato a fine anno.
Ma il cortile su cui affaccia la porzione comunale non compariva sulle carte della confisca. Per questo, Feletti ha deciso di fare causa al Comune che ne aveva impedito l’accesso chiudendo i cancelletti. "I documenti parlano chiaro – ha sempre sostenuto Feletti –: il cortile è di uso condominiale, quindi anche io posso accedervi. Non voglio farci chissà cosa, solo spostare i bidoni dell’immondizia, stendere i panni, far giocare i nipotini quando vengono a trovarci".
Ma per il sindaco Rino Pruiti si trattava di una "provocazione, una sfida allo Stato. Per tanti anni è sempre stato così, ma appena è uscito dal carcere Papalia ne hanno rivendicato l’uso". Nessun accordo, perché "non scendiamo a patti con loro", ha sempre sottolineato il sindaco. Quindi, la vicenda è finita in tribunale.
Dopo due anni di burocrazie e udienze, il giudice Alessandro Petrucci della quarta sezione civile di Milano ha preso la sua decisione: l’uso del cortile spetta anche alla famiglia Papalia. Proprio perché sui documenti non è specificata la confisca di quella parte di immobile. "Era normale finisse così - commenta la sentenza Feletti, con a fianco il marito –, è stato un accanimento inutile quello del sindaco, bastava lasciarci usare quello che ci spettava. Invece ora il Comune dovrà anche pagare oltre 7mila euro di spese, inutilmente. Il giudice ha semplicemente riconosciuto un nostro diritto". Si chiude così un capitolo "molto sofferto per la nostra comunità, lasciando purtroppo una ferita aperta per una sconfitta", commentano dal Comune.
"Proporrò al Consiglio comunale di rimettere nelle mani dello Stato il bene confiscato di via Nearco – dichiara il sindaco Rino Pruiti che non nasconde profonda amarezza –. Il nostro Comune non può convivere con esponenti della criminalità organizzata". Il sindaco ripercorre la vicenda e tutti i passaggi prima di arrivare all’epilogo: "Più volte in questi anni – racconta Pruiti – ho invitato la magistratura, il Parlamento e la Commissione parlamentare antimafia, l’Agenzia dei beni sequestrati e confiscati a intervenire prima che si arrivasse alla sentenza, ma non ho avuto risposte. Il Comune ha tentato di opporsi con tutti i mezzi legali ma senza averne i reali strumenti, il potere di cambiare leggi e stabilire confische non spetta a noi. Le sentenze si rispettano e non possiamo che agire secondo quanto stabilito dal Tribunale: rimuoveremo quel cancello che ci separa dalla famiglia Papalia. Ma noi non ci saremo più. Non possiamo stare nello stesso luogo che utilizza chi non ha mai chiesto scusa alla nostra comunità dopo terribili reati commessi".