
Papà Francesco Fanelli con alla sua destra la figlia Alice e alla sua sinistra la secondogenita Camilla, nominata Alfiere della Repubblica
Milano – La pallavolo è stata una scoperta rapida e felice come certe schiacciate di primo tempo: “Ho iniziato a giocare quando avevo 7 anni” racconta Camilla Fanelli. E altrettanto rapido e felice è stato l’appuntamento con un’onorificenza, solo la prima della sua vita, forse.
Di sicuro, non un’onorificenza come altre: a 21 anni Camilla è stata nominata Giovane Alfiere della Repubblica dal presidente Sergio Mattarella. “Sono emozionata. Non ho ancora metabolizzato, non ho ancora realizzato cosa è successo, non mi rendo conto”. Tutto merito della pallavolo, in fondo. “Mio padre – racconta Camilla – nasce calciatore, ama il calcio. Si è avvicinato alla pallavolo solo quando io e mia sorella Alice abbiamo iniziato a giocarci”. E quell’avvicinamento è stato fatale: col tempo il papà di Camilla è diventato allenatore di pallavolo, una scelta che, tre anni fa, lo ha portato dritto dritto al progetto ‘Liberi di giocare’, proprio il progetto che ha appena permesso alla sua Camilla di diventare Alfiere della Repubblica. “Da tre anni, insieme a papà e a mia sorella, alleniamo la squadra di pallavolo dei detenuti del carcere di Monza. Non avrei mai pensato che questa nostra attività potesse valere un’onorificenza tanto importante ma sono felice perché il progetto “Liberi di giocare“ – rimarca Camilla – è importante e deve essere conosciuto e incoraggiato”. Lei, sua sorella e suo padre allenano una squadra di adulti: “L’età media è tra i 30 e i 40 anni, poi ce ne sono alcuni che sono sotto i 30 e alcuni sopra i 40”.
Da qui il primo, comprensibile timore di Camilla nell’approcciarsi a questa esperienza: “Io e Alice temevano che, essendo giovani e donne, non ci prendessero sul serio, non ci tenessero in considerazione. Invece non è stato così: siamo ascoltate dai giocatori della squadra e non si fanno problemi a chiederci consigli, partendo da quelli più semplici, ad esempio per i bagher”. Con loro, con i detenuti, ha via via imparato “a parlare come si fa al bar nonostante le nostre quotidianità siano diverse”. Ma proprio pallavolo, a suo dire, è tra gli sport che più aiutano a stare bene, a star meglio e ad evadere: “È uno sport dinamico, a differenza di altri non è monotono, aiuta più di altri a coltivare un senso di squadra, nel bene e nel male e ad entrare in un’altra dimensione. Penso ai punti che si susseguono senza sosta fino alla fine – spiega Camilla –, non è proprio possibile che una partita di pallavolo finisca senza punti. Questo lo rende uno sport divertente, che aiuta ad evadere dal quotidiano, nel quale c’è sempre modo di esultare insieme, da squadra, quando il punto lo si segna oppure di rincuorare il compagno che non ci è arrivato, che magari ha sbagliato, quando il punto lo si subisce. Infine, come tutti gli altri sport, aiuta a rispettare le regole, l’avversario e l’arbitro”.
Ma la scoperta più inattesa che ha fatto in questi tre anni non c’entra nulla con la pallavolo: “Ho capito che una sola azione, un errore o una scelta sbagliata non sono e non devono essere sufficienti a definire una volta per tutte una persona e il suo valore. Se si sbaglia, è giusto pagare. Ma non per questo la persona perde il suo valore”. Né ha a che fare con la pallavolo il momento più emozionante da lei vissuto in questi tre anni: “No, lo sport non c’entra – conferma Camilla –. Il momento che ricordo con più emozione è quando ho potuto vedere i nostri giocatori in una veste diversa: quella di padri. È successo quest’estate durante la festa padri-figli organizzata dal carcere”.
L’attenzione agli altri, il lavoro con l’altro e per l’altro, sembra le stia dentro come possono solo le vocazioni vere e forti. Studia fisioterapia all’Università Statale di Milano e il suo sogno è “fare fisioterapia nel terzo mondo, ai bambini che ne avrebbero bisogno ma sono senza assistenza”. Prima di entrare nel carcere di Monza come volontaria, una lunga trafila da animatrice, educatrice e allenatrice all’oratorio Samz di Milano. Sì, lunga. Nonostante i suoi 21 anni.