ANDREA GIANNI
Cronaca

Caporalato in Lombardia, l’appello di Roia: “I brand controllino gli appalti. Il salario minimo? Non è sufficiente”

Il presidente del Tribunale: Milano ha gli anticorpi, dopo la logistica protocollo sull’alta moda. “Critiche? Interveniamo contro lo sfruttamento. Pescano dove si creano situazioni di marginalità”

Il presidente del Tribunale di Milano Fabio Roia

Il presidente del Tribunale di Milano Fabio Roia

MILANO – “Bisogna comprendere che si può e si deve fare impresa in maniera legale e senza arrivare a situazioni di sfruttamento, magari rinunciando a dei margini di profitto. Milano ha gli anticorpi sociali e istituzionali per arrivare a un cambiamento”. Un messaggio lanciato dal presidente del Tribunale di Milano Fabio Roia, che invita a una “alleanza” contro lo sfruttamento nella filiera degli appalti, in settori come la logistica e l’alta moda finiti al centro di inchieste della Procura e provvedimenti giudiziari per ristabilire la legalità.

Sono emersi, negli ultimi anni, gravi episodi di caporalato e di sfruttamento. Un fenomeno che non sembra arrestarsi.

“Gli ultimi provvedimenti riguardano in particolare il settore della moda. D’intesa con la Prefettura, con la Procura, i sindacati e le associazioni di imprese, abbiamo firmato un protocollo sulla logistica ed è in fase di definizione un analogo accordo sulla moda, che dovrebbe prevenire fenomeni di questo tipo ponendo a carico dei brand oneri di controllo in tutta la filiera degli appalti. Bisogna fare uno sforzo per sensibilizzare le imprese: sono culturalmente contrario alla sanzione, credo piuttosto nella prevenzione. Se un’impresa adotta modelli virtuosi è difficile che venga sottoposta a misure di prevenzione, questo è l’obiettivo dei protocolli”.

Riscontrate, in Tribunale, un aumento di illeciti legati ai rapporti di lavoro?

“Esistono parecchie situazioni di sfruttamento della manodopera, in una società dove si creano sacche di emarginazione. Le ultime esperienze hanno fatto emergere manodopera reclutata tra extracomunitari irregolari oppure, nelle filiere della moda, tra cinesi in condizioni di marcato sfruttamento. Dove ci sono nicchie di emarginazione e di assenza di integrazione si può pescare manodopera da sfruttare in una città multiculturale, produttiva, ma con fasce di povertà in crescita. Allargandomi al dibattito sulla sicurezza, però, vorrei precisare che Milano non è Gotham City, come ripete qualcuno, e non ha bisogno di Batman. Continuare a dire che Milano è una città insicura non fa bene al sistema Paese”.

L’introduzione del salario minimo potrebbe essere una misura utile contro il lavoro sottopagato?

“Potrebbe essere un indicatore importante ma non sufficiente. La dignità del lavoro non è data solo dal salario ma da altre condizioni generali e oggettive: le tutele assicurative, le pause, la possibilità di ricorrere ad ammortizzatori sociali, la tutela della salute e la sicurezza, solo per fare alcuni esempi”.

In una regione produttiva come la Lombardia, quindi, bisognerebbe fare di più per assicurare condizioni di lavoro dignitose?

“Sì, anche perché si tratta di un bene costituzionalmente protetto. Bisogna comprendere che si deve e si può fare impresa in maniera legale, magari rinunciando a dei margini di profitto. Questo andrebbe anche a beneficio delle numerose imprese artigiane del territorio, che soffrono la concorrenza sleale di chi non rispetta le regole”.

Sarebbe utile, a suo avviso, l’istituzione di una Procura nazionale competente in materia di sicurezza sul lavoro?

“Più che un accentramento delle funzioni reputo importante il controllo sul territorio da parte dell’Ispettorato del lavoro e dell’Ats, oltre al ruolo di vigilanza e denuncia dei sindacati. Purtroppo in quasi tutte le pubbliche amministrazioni ci sono scoperture di organico, per un cambio di passo bisognerebbe partire aumentando il personale”.

L’approccio “interventista“ del Tribunale di Milano è stato anche oggetto di critiche. Come replica?

“A chi sostiene che andiamo oltre il nostro ruolo rispondo che noi non vogliamo sostituirci a nessuno, ma è nostro dovere intervenire quando situazioni di sfruttamento alterano il mercato. Un imprenditore, durante uno degli ultimi incontri, ha minacciato di spostare la produzione all’estero. Io ho risposto: fatelo pure, noi arriveremo anche all’estero”.