Milano - «Era agile , aveva grazia anche mentre giocava in cortile. Per noi era già “la ballerina’’ quando usciva dalla palazzina popolare con la borsa per andare a scuola di ballo". Sembra di vedere Carla Fracci scendere di corsa le scale, dal quarto piano fino al portoncino di via Tommei 2, nel quartiere Molise-Calvairate, per inseguire il suo sogno. Abitava lì con i genitori e la sorella Marisa, come ricorda Gianna Casiraghi, che compirà 89 anni il prossimo 24 giugno. Senza saperlo, quella bambina coltivava arte nella Milano del dopoguerra, negli anni difficili in cui tutto era da ricostruire. Dalla povertà delle case Aler (in passato, Istituto autonomo case popolari) volava verso il Teatro alla Scala facendo la spola tra periferia e centro, cucendo due mondi agli antipodi ma entrambi intrisi di umiltà e senso di sacrificio.
Pochi sanno che "la prima ballerina assoluta", come la definì il New York Times , mosse i suoi primi passi tra quelle mura, nei caseggiati "degli ultimi" che ancora oggi sono come un piccolo paese. Un luogo che lasciò da sfollata negli anni della guerra, per spostarsi con la famiglia nelle campagne della provincia di Cremona e Mantova, e che ritrovò dopo la Liberazione. "Nei cortili di via Tommei, ogni pomeriggio si radunavano un centinaio di bambini – racconta Casiraghi –. Carla me la ricordo bene ma io avevo confidenza soprattutto con le mie coetanee. Noi a 13 anni ci sentivamo già signorine, mentre Carla era una bambina di 9. Aveva un talento indiscusso ma se è diventata una grande stella internazionale, un grande merito va dato anche ai suoi genitori: hanno capito che quel talento andava coltivato, come quello della sorella. Chissà quanti sono andati sprecati".
Il papà Luigi, tranviere, e la mamma Santina Rocca, operaia alla Innocenti, "hanno fatto enormi sacrifici. Carla ha avuto la possibilità di studiare danza, e non era scontato. Mi ricordo di un bambino che abitava in via Etruschi, una voce bianca straordinaria, ma a 12 anni è dovuto andare a lavorare. Io, che avevo solo la mamma, a 14 anni ero in una fabbrica a realizzare oggetti di porcellana, mentre mia sorella gemella lavorava come orafa. Mio nipote, coetaneo di Carla, andava a vendere le caramelle al cinema. Però Carla è sempre rimasta umile, una persona deliziosa".
Lo pensa anche Chiara Mele, 82enne, inquilina dell’alloggio che fu della famiglia Fracci. "Vivo qui da 52 anni. Sono casalinga, ho cresciuto 4 figli in questa casa, insieme a mio marito che purtroppo non c’è più. Mi emoziona sapere che la signora Fracci ha vissuto qui prima di me". Ora tanti chiedono di intitolare un luogo del quartiere alla sua memoria. La consigliera del Municipio 4 Rossella Traversa (SinistraXMilano) ha già lanciato una proposta sui social: "Dedichiamo a lei la biblioteca. Carla Fracci era nata e ha vissuto nelle case popolari del Calvairate. Lo ha raccontato tante volte, ricordando le sue origini proletarie di figlia di tranviere. C’è un luogo che si sta ristrutturando e che è luogo di Cultura, formazione e convivialità: la biblioteca. Intitoliamola alla nostra grande e indimenticabile artista e donna che il mondo ci invidia".