![Carlo Alfredo Clerici è venuto a mancare a 55 anni. Psicologo clinico, lavorava all’Istituto Nazionale dei Tumori ed era docente alla Statale di Milano. Tra i suoi antenati Nelson Le Follet grande illusionista della Belle Époque Carlo Alfredo Clerici è venuto a mancare a 55 anni. Psicologo clinico, lavorava all’Istituto Nazionale dei Tumori ed era docente alla Statale di Milano. Tra i suoi antenati Nelson Le Follet grande illusionista della Belle Époque](https://www.ilgiorno.it/image-service/view/acePublic/alias/contentid/ZjZmYWMyMjgtNDEwNi00/0/image.webp?f=16%3A9&q=1&w=1280)
Carlo Alfredo Clerici è venuto a mancare a 55 anni. Psicologo clinico, lavorava all’Istituto Nazionale dei Tumori ed era docente alla Statale di Milano. Tra i suoi antenati Nelson Le Follet grande illusionista della Belle Époque
Milano – “Posso dimostrarti che tu sei magico”: non di rado Carlo Alfredo Clerici iniziava così i suoi incontri con i piccoli pazienti del reparto di Pediatria Oncologica dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano. “Ancora oggi – spiegava lui – viene dato per scontato che il dialogo con un bambino o un adolescente sia qualcosa di semplice ed immediato, ma così non è”. Non se si tratta di bambini o adolescenti che si trovano a convivere con un tumore pediatrico, raro per definizione. Non se si tratta di bambini che si trovano a trascorrere tutta la loro quotidianità, o una parte, in un reparto di ospedale. In questi casi è invece importante aiutare il bambino o l’adolescente a preservare la propria autostima, ad avere fiducia in se stesso e nelle sue possibilità, a non smarrirsi. Da qui l’annuncio che lui scandiva ogni volta che lo riteneva necessario, quella promessa: “Posso dimostrarti che tu sei magico”.
E Clerici riusciva a mantener fede a queste sue parole. Perché oltre ad essere medico specialista e professore ordinario in Psicologia clinica all’Università Statale di Milano, era anche un grande appassionato ed esperto di giochi di magia ed illusionismo. Dopo aver dato prova delle sue capacità di prestigiazione, invitava i suoi bambini a cimentarsi a loro volta nel gioco, in un gioco che, improvvisamente, riusciva anche a loro. Entrare nel suo studio, al settimo piano dell’Istituto Nazionale dei Tumori, era come entrare in un’altra dimensione, in un contesto tanto accogliente quanto, apparentemente, fuori contesto.
“Una Wunderkammer” la definisce una sua collega, Maura Massimino, direttore della Struttura Complessa di Pediatria dello stesso Istituto dei Tumori. Vale a dire: “Una camera delle meraviglie”. Pareti coperte di disegni e, tutto intorno alla scrivania, giochi e giocattoli, dadi e palline, bacchette colorate, papere galleggianti, vivaci occhi finti. Tutti alleati di Clerici e dei bambche si trovavano a passare dal reparto. La psicologia, la sua sensibilità e la sua curiosità, i giochi di prestigio e l’illusionismo: tutto finalizzato allo scopo di raggiungere quell’empatia tra medico e (piccolo) paziente che è parte della cura.
Della spiritualità della cura ha scritto insieme a don Tullio Proserpio, cappellano dell’Istituto Nazionale dei Tumori. Quanto all’amore per la magia, l’illusionismo e la prestigiazione, Clerici l’aveva nel sangue. Letteralmente nel sangue, non per modo di dire. Era infatti parente di Nelson Le Follet, al secolo Bartolomeo Viganego, uno dei più grandi antipodisti, giocolieri ed illusionisti della Belle Époque. Bartolomeo nacque a Genova, come Carlo, nel 1869. “Era un mio antenato, era lo zio di mio nonno – amava rivelare Clerici –. Se hai tempo ti racconto la sua storia”. E il tempo valeva davvero la pena di trovarlo. Nel suo studio, in quella camera delle meraviglie, conservava anche una splendida locandina di uno spettacolo di Nelson.
Carlo Alfredo Clerici è venuto a mancare nella notte tra il 3 e il 4 febbraio, a 55 anni, a causa dell’aggravarsi di un tumore. Massimino ha voluto ricordarlo con le parole che seguono: “Sono trascorsi 27 anni da quando intravidi per la prima volta aggirarsi in reparto, al mio ritorno da una maternità, l’allora giovanissimo, come è sempre rimasto, dottor Carlo Clerici, invitato a far parte del nostro gruppo con la vocazione, e la specialità, dello psicologo clinico. Dico vocazione perché questo era davvero il suo tratto: la confidenza e la fiducia che subito si avevano nei suoi confronti non erano mai deluse dalla disattenzione o dalla superficialità, ed erano infinite. Non aveva interesse per i numeri della sua attività: non era portato per le grandi analisi e lo diceva, con semplicità e anche una punta di snobismo, che per lui i numeri non erano mai diventati amici. Aveva cessato, diceva, i suoi rapporti con la matematica con l’introduzione in terza elementare delle divisioni a due cifre. In compenso non abbandonava mai il singolo. Per poter comprendere e consolare le famiglie dei bambini malati ed esuli dall’Ucraina si era appiccicata nel suo studio, meglio dire nella sua wunderKammer, una cartina dell’Ucraina dove faceva disegnare alle mamme e ai pazientini il pallino colorato del loro paese di provenienza per dare un significato concreto al viaggio, ma anche al ritorno.
Riusciva a trarre il buono da chiunque: capivi che era serissimo quando ti ascoltava anche se faceva sparire e ricomparire una montagna di caramelle da una scatola misteriosa con una magia che poi insegnava ai bambini, che diventavano i suoi abili colleghi. Nessuna storia generava in lui scandalo, ma veniva trasformata in esperienza scientifica: dal basso verso l’alto, dal piccolo verso le grandi idee, tutto era fonte di rispetto ed ispirazione. E tutti lo cercavano. Non faceva pubblicità di quanti pazienti e non-pazienti a lui ricorressero con uno stile prudente e lieve che era la sua vera nobiltà. Vitale di idee sempre originali e apparentemente a volte paradossali, cercava in noi colleghi meno fantasiosi la concretezza che rendesse prassi le sue intuizioni e le sue passioni con grande rispetto per la nostra medicina più convenzionale. E amavamo ridere insieme. Anche durante la sua malattia, rara come lui, e come lui invincibile. Non posso pensare che tra i suoi numerosissimi allievi qualcuno non abbia saputo, almeno in parte, cogliere il suo insegnamento e il suo stile. Noi tutti, qui in Pediatria, lo stiamo aspettando”.