
Il titolare del bar Il Devoti
Milano - Il fantasma dell’austerity è già arrivato tra noi. In attesa delle "soluzioni incisive e misurabili" che il gruppo di lavoro del Comune di Milano con Politecnico e A2A dovrà partorire per sostenere il contraccolpo pesante della crisi energetica, i negozianti si stanno già industriando in autonomia con scelte "sofferte".
Così sulla Fifth Avenue meneghina da qualche settimana rimangono spenti quando cala il buio l’insegna e i led di una vetrina: è quella di Miss Marilyn, uno storico negozio di abbigliamento multibrand in corso Buenos Aires. Dall’altra parte della città, in via Ripamonti, uno storico bar - il Devoti - aperto da 72 anni ha deciso di chiudere a metà pomeriggio sacrificando sull’altare dei rincari energetici il più classico dei riti milanesi: l’aperitivo.
"Abbiamo deciso di spegnere sia l’insegna esterna che le luci della vetrina quando il negozio è chiuso. È la prima volta che prendiamo questa decisione in 30 anni di attività. Non lo facciamo per cavalcare una protesta ma per pura necessità: è l’unico modo per dimezzare i consumi della luce e contenere i rincari delle utenze che sono raddoppiate", spiega il titolare di Miss Marilyn, Ferruccio Dionisotti, 75 anni. La sua è una scelta che non è stata a cuor leggero: "Spegnere le luci comporta un danno commerciale perché cancella la visibilità dell’esercizio di notte. Ci priviamo di una sorta di pubblicità che può invogliare la cliente che passeggia sul corso a tornare il giorno dopo ad acquistare quel capo esposto sotto i riflettori. Ed è a ben vedere anche una ferita al decoro della città: se tutti gli esercizi commerciali spegnessero i neon, Milano di notte diventerebbe certamente brutta e soprattutto una metropoli insicura", spiega il commerciante.
Il caro-energia "uccide" pure l’happy hour. Per la prima volta il Devoti di via Serio, caffetteria e wine bar inaugurato nel 1950, ha deciso di abbassare la saracinesca di pomeriggio, praticamente a un orario antidiluviano. "Apriamo come sempre alle 7 del mattino ma anticipiamo la chiusura alle 15:30 anziché alle 21", spiega Giuseppe Gissi, socio 60enne dello storico bar in zona Ripamonti che ha preso in gestione da 4 anni e gestore di altri locali. "È l’unico modo per contenere i costi stratosferici dell’energia. La tariffa della luce ad agosto è praticamente triplicata, passando da 0,08 a 0,32 euro/kWh. E ci sono altri due corollari che stanno rendendo la situazione insostenibile per tutto l’ambito dei pubblici esercizi" aggiunge Gissi che è anche dirigente Epam-Fipe. «Il primo sono i rincari delle materie prime e l’impossibilità di ritoccare i listini: nessuno verrebbe a bere il caffè al bar se costasse 1,50 euro. Poi registriamo un generale calo di clientela dopo pranzo.
A causa dell’inflazione generalizzata anche sorseggiare un flûte di prosecco dopo il lavoro è percepito dalla gente come un lusso di cui si può fare a meno. È chiaro che la prospettiva di scenari cupi per l’autunno si abbatte come uno tsunami sui consumi cosiddetti superflui. Non nascondo che se continua questo trend sarò pure costretto a lasciare a casa un dipendente. E purtroppo temo che non sarò l’unico in città a dover fare scelte pesanti, anche da un punto di vista umano", conclude Giuseppe Gissi.