BARBARA CALDEROLA
Cronaca

Casa legalità, demolizione sospesa

Il Tar blocca l’ordinanza del Comune che imponeva alla famiglia sinti Reinard di abbattere le villette

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di Barbara Calderola

Demolizione sospesa, il Tar blocca l’ordinanza del 3 giugno firmata dal Comune di Trezzo che intimava ai Reinard, allontanati dalle villette di via Brasca il 28 marzo 2018 di abbattere la Casa della legalità, allestita dal Comune al loro posto. La struttura era stata dichiarata "abusiva" dal Consiglio di Stato che ha restituito gli stabili "ai legittimi proprietari" dopo 36 mesi di carte bollate.

Ma la battaglia legale fra l’amministrazione e la famiglia di origine Sinti non è finita: riprenderà il 9 novembre davanti ai giudici amministrativi che ieri hanno fermato le ruspe.

"L’iter è ripartito subito dopo la riconsegna delle chiavi intimata dal tribunale il 7 maggio scorso – ricorda Francesco Lilli, l’avvocato che da tre anni difende padre, madre e tre figli, di cui uno con handicap grave –. Secondo le sentenze (c’è anche una prima pronuncia del Tar nel merito) è l’amministrazione ad avere occupato, senza averne diritto, una proprietà privata".

Dopo lo sgombero, il Comune aveva affidato gli immobili in comodato d’uso gratuito a Foxpol, l’associazione delle polizie locali che si occupa di prevenzione dei reati con l’intento di farne un’università delle sicurezza aperta al territorio, "ma l’operazione è illegittima per i giudici", ribadisce il difensore.

Per il Comune però "la questione di fondo rimane – spiega il vicesindaco Danilo Villa –. L’ordinanza di demolizione nasce, come il resto, dalla volontà di ripristinare le regole in quei luoghi. Gli immobili sono illegali, per questo abbiamo emesso un nuovo provvedimento. Sono stati costruiti nel perimetro del Parco Adda Nord, quelle case erano e rimangono non condonabili".

Il caso riguarda la sanatoria per la quale la famiglia aveva versato i relativi oneri "come provato, documenti alla mano", ricorda l’avvocato. I fatti risalgono al 2004, governo Berlusconi, giunta Milanesi. Dopo 14 anni di silenzio i Reinard erano convinti di essere nel giusto. "Mai nessuno ha contestato nulla ai miei assistiti di quell’operazione – chiarisce il difensore –. E il Consiglio di Stato ha stabilito che avevano ragione a esserne convinti. Ora, presenteremo di nuovo le nostre ragioni al Tar, ma stavolta contro l’abbattimento. Resta in sospeso l’aspetto morale della vicenda: i Reinard hanno perso ogni cosa in pochi minuti, tutta colpa della fretta di cacciarli".