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L’assessore regionale alla Casa e all’Housing sociale, Paolo Franco
Milano – La svolta sarà approvata in occasione della legge di revisione normativa ordinamentale, che dovrebbe approdare in Consiglio regionale tra marzo e aprile.
Allora, salvo sorprese o contrordini, nel nuovo regolamento delle assegnazioni delle case popolari sarà inserita per la prima volta una norma che consentirà di dare alloggi pubblici anche a chi ne abbia uno di proprietà a patto, però, che l’alloggio di proprietà sia distante più di 10 chilometri dal Comune nel quale si fa domanda di casa popolare. Va da sé che il primo criterio per discernere chi abbia diritto ad un appartamento in edilizia pubblica e chi no resta l’Isee, che tiene conto pure delle proprietà immobiliari e del loro valore. Ma finora vigeva il divieto assoluto di assegnare case popolari a chi avesse un immobile di proprietà non solo in Italia ma anche all’estero. E infatti l’inserimento del criterio chilometrico è stato voluto dall’assessore regionale alla Casa, Paolo Franco, in risposta a quanto definitivamente disposto dalla Corte d’Appello a marzo del 2023 a proposito delle modalità di accertamento delle proprietà detenute all’estero, in particolare nei Paesi non comunitari. In quella data la Corte ha infatti ribadito che agli stranieri che facciano richiesta di una casa popolare non possono essere chiesti documenti aggiuntivi e diversi rispetto a quelli chiesti ai cittadini italiani.
Un riferimento all’obbligo, posto agli stranieri dalla Regione, di presentare un certificato di impossidenza, vale a dire un certificato col quale gli stranieri dimostrassero di non avere immobili di proprietà in patria. Un documento non semplice da ottenere dai consolati. L’eliminazione del certificato di impossidenza, secondo Fratelli d’Italia e la Lega, rischia di configurare, stavolta, una discriminazione nei confronti di chi abbia proprietà in Italia perché questi, a differenza degli extracomunitari, non possono non dichiararli essendo parte del calcolo dell’Isee. Che piaccia o no, che abbia senso o no, per FdI l’inserimento del criterio chilometrico risponde alla necessità di “tutelare innanzitutto gli italiani”. Una necessità che la Lega ha però rivisto e geolocalizzato diversamente: “Prima di tutto bisogna tutelare i lombardi”. Due posizioni che, in fin dei conti, sono risultate distanti qualche decina di chilometri e, salvo sorprese delle ultime ore, hanno finito col convergere sulla distanza-discrimine dei 10 chilometri.
La versione originale del nuovo regolamento, così come presentato dall’assessore in commissione, fissava infatti un raggio chilometrico di 100 chilometri. Nel dettaglio, si prevedeva di sostituire l’“assenza di titolarità di diritti di proprietà” su “beni immobili adeguati alle esigenze del nucleo familiare” e “ubicati in tutto il territorio italiano o all’estero” con “l’assenza di titolarità di diritti di proprietà” su “alloggi che si trovano a una distanza inferiore a 100 chilometri dal Comune per il quale è presentata la domanda di assegnazione”. La Lega, però, in commissione, ha presentato un emendamento radicale perché contrario ad ogni criterio chilometrico. A presentarlo è stata Silvia Scurati. Le posizioni si sono poi avvicinate e la stessa Scurati ora spiega: “Cento chilometri sono troppi, penalizzerebbero i lombardi: un legnanese proprietario di un immobile di poco valore, che non incida sull’Isee al punto da renderlo non idoneo alle case popolari, si troverebbe impossibilitato a far domanda a Milano, mentre un bolognese che si trovasse nelle stesse condizioni non avrebbe problemi”.
La mediazione tra FdI e Lega è stata lunga, non semplice, ma alla fine si è trovato l’accordo sul raggio dei 10 chilometri. Perché il ricorso all’ordinamentale? Perché a questo punto il criterio dei 10 chilometri deve essere inserito anche alla voce “decadenza“ perché il nuovo regolamento – previsto in Giunta già lunedì – sia omogeneo. Ma il ricorso all’ordinamentale, secondo l’esecutivo, consente di modificare l’una e l’altra voce per le vie brevi.