GIULIA BONEZZI
Cronaca

Case del Trivulzio, la rabbia degli inquilini: "Non siamo vip e rischiamo di perdere tutto"

Sul condominio donato all’Istituto negli anni ‘50 intervengono i sindacati: "Il fondo penalizza lavoratori e pensionati con redditi bassi, rifare il patto sul canone concordato"

Lo stabile di via Bassi alla periferia nord di Milano finito nella bufera

Lo stabile di via Bassi alla periferia nord di Milano finito nella bufera

Milano, 27 luglio 2024 – ”Evviva i Martinitt, abbasso Invimit”, si legge sullo striscione: tra una vecchia lettera della proprietà, l’Asp Istituti milanesi Martinitt-Stelline e Pio Albergo Trivulzio, che ricorda il dovere di far accedere i suoi incaricati agli appartamenti e un avviso dei sindacati degli inquilini che ribadisce il diritto a "non fare entrare nessuno senza una comunicazione scritta e aver concordato date e orari", c’è il diario dell’ultima battaglia del Pat, il Pio Albergo Trivulzio, sui muri di questo stabile grande un isolato a due passi da piazzale Maciachini. Doppio ingresso da via Paolo Bassi 22 e via Mossotti 1, dieci scale e 239 alloggi più le serrande (quasi tutte abbassate tranne due bar, un parrucchiere e un’agenzia di pompe funebri) che perimetrano questo pezzo d’archeologia dirimpettaio, lato via Nava, della scintillante clinica San Pio X, e vincolato, sottolineano gli inquilini, fin dalle iscrizioni all’ingresso: "Quartiere alla Fontana" "proprietà della soc. edificatrice case per operai bagni e lavatoi pubblici fondata in Milano nell’anno 1861". Che sciogliendosi, negli anni ’50 del Novecento, donò questo e altri quattro palazzi a Brera al Trivulzio-Martinitt col vincolo a continuare la sua "opera moderatrice degli affitti", si legge nei documenti che Alessandro Manca del comitato inquilini ha raccolto in un dossier per i giornalisti.

Il confronto col commissario Tronca

Convocati ieri da Sicet, Sunia, Unione inquilini e dal coordinamento dei comitati inquilini per chiedere al commissario del Pat Francesco Paolo Tronca di bloccare gli sfratti, rinnovare l’accordo sugli alloggi a canone concordato scaduto nel 2020 e abbandonare il progetto di conferire il patrimonio immobiliare a un fondo gestito da Invimit per risanare i conti della Baggina. Ma anche per scrollarsi l’immagine del privilegio riflessa dai vip appena finiti sotto i riflettori per affitti bassissimi in centrissimo, alcuni dei quali si sono difesi spiegando di dover pagare, nelle case del Pat, persino il cambio delle persiane. In questo stabile alla periferia Nord le persiane si distinguono tra quella mancante indicata da un’inquilina ("Non si chiudeva, la proprietà l’ha fatta portar via e non è mai ricomparsa") e quelle nuove di pacca che, racconta un’altra locataria, appartengono a una cinquantina d’appartamenti affidati negli ultimi anni a società di affitti brevi e stanze per studenti e lavoratori in cambio di ristrutturazioni. Scene da un pasticciaccio brutto incistato nei decenni tra i palazzi del Trivulzio: tra il 15% d’inquilini fragili cui il commissario ha garantito tutela e la nobiltà che potrebbe permettersi ben altri canoni, c’è una terra di mezzo di locatari che "se subissero uno sfratto" a scadenza del contratto o dovessero fronteggiare "aumenti significativi del canone - sottolinea il segretario del Sunia di Milano Carmelo Benenti – difficilmente troverebbero una ricollocazione abitativa" ai prezzi che viaggiano oggi a Milano.

La “riserva indiana”

Giungla ormai impenetrabile ai redditi medi in cui le case del Pat costituiscono una riserva indiana composta, spiega Bruno Cattoli dell’Unione inquilini, per circa metà da alloggi a canone concordato abitati da inquilini storici, che sono soprattutto lavoratori o ex lavoratori della Baggina e di altre strutture sanitarie ed ex sfrattati dal centro storico negli anni ’80 e ’90 "con un reddito di poco superiore a quello che avrebbe dato accesso all’edilizia residenziale pubblica, ai quali enti come la Baggina o il Policlinico all’epoca erano obbligati a destinare il 60% dei loro appartamenti disponibili" in funzione d’ammortizzatore sociale. L’altra metà degli inquilini è a canone libero, "perché il Pat una quindicina di anni fa ha introdotto le aste", offrendo appartamenti in cattive condizioni (attualmente oltre 340 sono sfitti) a chi li ristrutturava in cambio d’affitti molto bassi: "Un meccanismo che si è rivelato ingiusto – spiega Cattoli –: per poche persone abbienti è stato un affare, ma molti altri sono normalissimi lavoratori che hanno investito i loro risparmi o la liquidazione confidando di poter rimanere in quelle case tutta la vita". E ora sono sulla stessa barca dei vip solo in teoria: "Chi ha i soldi ha l’avvocato, chi non ha i soldi ha il sindacato – sottolinea la consigliera regionale del Pd Carmela Rozza –. È inaccettabile che il Pat non apra la trattativa".