ANDREA SPINELLI
Cronaca

"Cerri, il chitarrista che faceva volare il jazz"

Il musicista è morto ieri dopo una lunga malattia. Il ricordo dell’amico Intra: abbiamo suonato insieme in tutto il mondo, tanti momenti felici

di Andrea Spinelli

Un’amicizia lunga più di cinquant’anni. Il ricordo di Franco Cerri che crepita tra i ricordi virati nostalgia di Enrico Intra è quello di un garbato sodale che gli ha arricchito la vita su e giù dal palco. Uno chitarrista, l’altro pianista, assieme per mezzo secolo “nel mondo di Chet Baker”. Entrambi milanesi, hanno fondato assieme pure i Civici corsi di jazz "provando nel nostro piccolo a riparare il grande torto di questo paese, ovvero l’assenza di una vera cultura musicale da insegnare a scuola", spiega Intra. "In quanto direttore dei corsi e quindi ero a conoscenza della malattia, perché Franco insegnava a quei civici corsi di jazz di sono direttore. È rimasto al suo posto fino al 2016, quando poi l’Alzheimer ha iniziato a manifestarsi costringendolo a mollare l’insegnamento per starsene a casa protetto dalla famiglia". Cerri se n’è andato ieri, a 95 anni, in punta di piedi così com’era sempre vissuto. "Da Milano è entrato nelle case di milioni di italiani grazie alla sua straordinaria bravura e simpatia", ha scritto su Twitter il sindaco Beppe Sala. "Il suo estro e le sue meravigliose note rimarranno sempre con noi".

Intra, rimane il ricordo dei momenti felici.

"Momenti che, avendo fatto musica insieme per così tanto tempo, sono molti. Vissuti in tutto il mondo col nostro Quartetto. E lo spirito di quell’esperienza rimane nei dischi incisi assieme".

Da jazzista, quali erano le qualità tecniche di Franco?

"Era un autodidatta. Autodidatta con la maiuscola, perché l’aver imparato la musica da solo gli permetteva di essere un musicista molto personale. Anche se la matrice è quella americana, quando il jazz è diventato una lingua in cui ogni cultura riesce ad esprimere la propria personalità, il proprio sapere, la propria cultura".

Fra i grandi della chitarra, a chi lo avvicinerebbe?

"Franco aveva imparato da grandi maestri come Barney Kessel e Jim Hall, riuscendo poi a superarli seguendo una strada personale come ricordo sempre ai miei allievi dei corsi civici di jazz".

Essere “l’uomo in ammollo” gli pesava?

"Quella era un’etichetta frutto del nostro provincialismo italico. Soffriva molto di questa cosa, ma io cercavo di spiegargli che quella pubblicità del detersivo era stata una fortuna, perché l’aveva portato e fatto conoscere al grande pubblico. Quando nei teatri la gente l’accoglieva in scena con il fischietto dello spot, s’infastidiva. Poi, però, imbracciava la chitarra e passava tutto".

La perdita del figlio Stefano, a cui è stato intitolato l’auditorium di via Valvassori Peroni 56, rimaneva una ferita aperta.

"Sì. Un dolore così grande difficile da descrivere a parole. Però, poi, la vita ha continuato anche per lui".