Milano, 1 ottobre 2020 - «Ammettendo le mie responsabilità pubblicamente e legalmente ho accettato il patto sociale, però in cambio ho avuto la vendetta dello Stato. Anche se dovessero ridurmi al silenzio, i compagni e gli amici qui e altrove sapranno adoperarsi come hanno sempre fatto pubblicamente". Cesare Battisti, dal carcere di Rossano, in provincia di Cosenza, con un audio registrato dai suoi familiari e da loro inviato al legale dell’ex terrorista dei Pac, Davide Steccanella, torna a contestare la sua condizione carceraria, da lui ritenuta troppo dura. "Oltre ad essere spiccatamente punitivo - dice Battisti nell’audio - il mio trasferimento (nel carcere calabrese, ndr) equivale ad una condanna all’isolamento ininterrotto con il rischio di finire nel reparto Isis. Mi è stato proibito il computer e materiale didattico, mi è stata applicata censura allegando fantasie eversive con lo scopo chiaro di impedire il mio interagire con istanze culturali e mediatiche".
"È evidente - aggiunge nell’audio - come le mie dichiarazioni sull’operato unicamente punitivo delle prigioni abbiano incomodato certe autorità i cui interessi non coincidono con il rispetto della legge e con principi di una democrazia sana. A causa dell’inasprito regime di prigionia - conclude - i miei contatti con l’esterno sono diventati incerti e manipolabili". Lo scorso 14 settembre Battisti era stato trasferito dal penitenziario di Oristano al carcere di Rossano, nel reparto Alta Sicurezza AS2. Il Dipartimento dell’amministrazione Penitenziaria aveva infatti respinto, col parere conferme della Direzione nazionale antimafia e antiterorismo, il ricorso dei difensori per un regime detentivo più mitigato da scontare a Roma o Milano.
Da allora l’ex terrorista dei Proletari Armati per il Comunismo, condannato all’ergastolo per 4 omicidi, tra cui quello del gioielliere milanese Pierluigi Torregiani e dell’agente della Digos Andrea Campagna, continua a far sentire la sua voce dal carcere attraverso lettere e messaggi audio registrati dai familiari. Battisti sostiene di non volersi esporre al pericolo del "terrorismo islamista", nel carcere dove sono detenute anche diverse persone condannate per terrorismo internazionale e altre che hanno seguito un percorso di radicalizzazione quando erano già in cella. Ha spiegato infatti di aver ricevuto minacce già nel 2004 "per avere preso posizione pubblica contro il velo islamico". E, quando si trovava ancora a Oristano, aveva intrapreso anche uno sciopero della fame.