
Agata e la bimba stanno bene
Milano, 3 settembre 2019 - Agata dice subito che li vuole «ringraziare tutti, il primario, Raffaella, tutta l’équipe dell’ospedale San Carlo: hanno salvato la vita alla mia bambina e a me». Dice Adriano che l’hanno salvata anche a lui, perché «senza mia moglie mi sento morire» e ora stanno bene lei ed Emma, nata di due chili e 400 grammi alla 34 esima settimana e tre giorni. Agata Bisci, 38 anni, con Adriano Antonino, di 40, ha altri tre figli, due maschi di 18 e 10 anni e una bimba di sei. La mandano a casa oggi o domani e tra qualche giorno potranno portarci Emma, che sta in patologia neonatale ma «è già una mangiona». È nata all’alba di venerdì con un cesareo d’urgenza al San Carlo, dove sua madre è arrivata con un’emorragia devastante, ha perso più di due litri di sangue.
Sapeva di avere una patologia, Agata, gliel’avevano diagnosticata proprio al Borromeo dove ha partorito tutti i suoi figli: «Tre cesarei e mai un problema, avrei voluto che anche la quarta nascesse qui ma a metà luglio mi hanno consigliato di andare al Niguarda, perché lì hanno una terapia intensiva neonatale». La patologia si chiama «placenta previa accreta»: la placenta aderisce ai muscoli della parete uterina e ostruisce il canale del parto, provocando emorragie gravi. È rara, tre ogni mille gravidanze, ma il rischio aumenta per chi ha avuto diversi cesarei, spiega Paolo Guarnerio, il primario dell’Ostetricia e ginecologia del Borromeo. Il caso di Agata era dei più gravi perché la placenta era «centrale» e «percreta»: «Significa che l’orifizio è completamente ostruito e il tessuto uterino completamente eroso, rendendo impossibile estrarre del tutto la placenta che causa così un sanguinamento incontenibile», traduce il primario, che alle 5 di venerdì è tornato in ospedale e dopo che le sue collaboratrici avevano fatto nascere Emma ha operato Agata per rimuoverle l’utero. Un’eventualità che lei sapeva probabilmente sarebbe stata comunque necessaria, con quella patologia, che si affronta, spiega il primario, «con un parto cesareo programmato e anticipato, perché bastano le contrazioni a innescare l’emorragia, e un intervento in urgenza è rischioso, si possono di perdere la mamma e il bambino».
Agata aveva appuntamento il 1° settembre per ricoverarsi al Niguarda e fissare la data. Ma giovedì notte è andata in bagno e ha visto il sangue, «un fiume. Abbiamo chiamato tre volte il 118 ma non arrivavano, avevo paura, tremavo, vedevo bianco...» «Quando ha detto “sto morendo” non ho pensato più all’ambulanza, non so dove ho trovato la forza di metterla in macchina». I tre chilometri che separano casa dal pronto soccorso del San Carlo, Adriano se li è mangiati nel giro di secondi. «Ho fatto quel che avrebbe fatto ogni marito e padre, è qui che sono stati eccezionali». Agata è andata dritta in sala operatoria, ha avuto bisogno di diverse trasfusioni, ma dopo poco più di un’ora era in terapia subintensiva, ed Emma ai prematuri. «Tutta l’équipe – sottolinea Guarnerio – è stata all’altezza di un caso così complesso». Compresa Valentina, l’operatrice del triage che ha confortato Adriano «in quell’ora che per me è durata vent’anni».