"Rifarei tutto, ancora oggi. Assolutamente rifarei ciò che ho fatto". Così Christian di Martino, il vice ispettore di polizia accoltellato da un 37enne di origine marocchina, irregolare e pluripregiudicato, la notte tra l'8 maggio e il 9 maggio alla stazione di Milano Lambrate, intervistato a Dritto e Rovescio, in onda stasera su Retequattro.
Ricoverato d'urgenza all'ospedale Niguarda di Milano, dove è stato sottoposto ad un delicato intervento durato più di quattro ore per le ferite riportate a diversi organi e per far fronte a cinque arresti cardiaci, oltre ad emorragie che hanno richiesto oltre settanta sacche di sangue di trasfusione, il giovane poliziotto ha spiegato: "La salute va meglio, sto migliorando e anche se ci vorrà ancora un po' di tempo per la guarigione completa, penso che recupererò al meglio".
Di quella sera, aggiunge poi, "mi ricordo tutto; ero stato inviato dalla mia centrale operativa alla stazione di Milano Lambrate per un soggetto agitato che lanciava pietre contro passanti e treni e dato che io ero munito di taser mi hanno inviato sul posto; una volta arrivati, appena ci ha visto, quell'uomo ha iniziato a lanciare pietre contro di noi e alcuni colleghi sono stati colpiti. Al che io mi sono avvicinato e l'ho colpito col taser, ma non ho avuto gli effetti sperati. Ne è nata una colluttazione durante la quale mi ha colpito con tre fendenti dietro la schiena e ha iniziato a scappare".
Malgrado i colpi ricevuti, però, di Martino non si è arreso: "Sono riuscito comunque ad inseguirlo e a farlo cadere, subito sono arrivati i colleghi che lo hanno bloccato definitivamente". In fondo, dice, "io ero tranquillo, si trattava di un intervento come quelli che faccio spesso. Diciamo -ironizza- che questa volta è andata un po' male". Tornando poi alle fasi concitate dell'episodio, il vice ispettore spiega di essere riuscito a continuare a correre dietro il 37enne "probabilmente perché avevo ancora l'adrenalina in corpo; il mio unico pensiero era che dovevo fermarlo. Sentivo di stare male, ma ho pensato 'anche se devo morire, lo devo fermare'".
Del resto fare il poliziotto è una passione di famiglia: "Devo ringraziare mio padre -sorride-. Anche lui era un poliziotto e mi ha trasmesso questa passione che io ho portato avanti". Ciò che "ho fatto, l'ho fatto perché il mio compito è mantenere la sicurezza per tutti i cittadini".
Nelle fasi più difficili, all'arrivo in ospedale, ricorda, "mi sono detto: non posso morire, ce la devo fare". E "se sono vivo lo devo ai miei colleghi che mi hanno tenuto sveglio, all'ambulanza che è arrivata subito sul posto e ai sanitari che mi hanno prestato le prime cure, sono stati fantastici. E ai medici, che hanno fatto un lavoro eccezionale e che voglio ringraziare perché mi hanno salvato la vita".
Di questa esperienza, conclude di Martino, "ciò che mi è rimasto più nel cuore è l'affetto che ho ricevuto dalle persone; dai colleghi, che mi sono stati sempre vicino e anche da importanti autorità dello Stato che sono venute a trovarmi. Ringrazio anche il ministro dell'Interno e il capo della polizia, con la questura di Milano, che mi sono stati sempre vicini e mi hanno sempre supportato".