Milano – Casco allacciato, zip del giubbotto tirata su e segno della croce. Una sorta di rituale, prima di inforcare la bici e mettersi in strada per saggiare la pericolosità delle strade milanesi per il ciclista, eterno “soggetto debole“ eppure spesso bersaglio degli strali degli automobilisti.
Il primo dato di cronaca è la fine della solidarietà non solo fra utenti della strada, ma anche fra i lavoratori. Ore 8.30, a Romolo una donna diretta all’ufficio esce dall’imbocco del metrò salendo le scale e urla: "Non ne posso più, hanno rotto i c... loro e i loro scioperi". Non male, come inizio di giornata. Noi, cronista e fotografo al seguito, con il sorriso sulle labbra invece puntiamo verso il centro e imbocchiamo via Spezia. Dal raccordo con l’A7 piomba sulle strisce, mentre cerchiamo di attraversare con la bici, un Suv Porsche Cayenne a tutto gas: 70 all’ora, velocità stimata. Non meno. Come se non esistessimo.
Noi, umili parìa della strada prendiamo per via Segantini e lì, la prima sorpresa: parcheggiata tra strada e marciapiedi un’auto dello sharing, sul cofano una mano pietosa ha scritto su un pezzo di carta bagnato dalla pioggia: “La informo che questo luogo oltre a essere un marciapiede e un passo carraio, è anche un accesso per mezzi di soccorso. A causa della sua inciviltà qualcuno potrebbe rimetterci la vita“. Bel biglietto da visita per la sicurezza sulle strade milanesi, non c’è che dire.
Si svolta verso la ciclabile ‘fantasma’ sul Naviglio Pavese (il tratto interno alla circonvallazione resta da completare) e, tirando dritto, si finisce nell’inferno del pavè. In via Torino una fila di poveri ciclisti in bilico su blocchi di pietra dissestati, fra voragini e binari, spinti a correre dall’eterna fretta di tram e motorini, fanno numeri su due ruote neppure mai visti alla Parigi–Roubaix. E viene in mente l’eterno dilemma: meglio il pavè o asfaltare tutto? Finora il sindaco Giuseppe Sala non ha saputo risolverlo. Lui sarebbe per la seconda soluzione, l’ha detto più volte, ma le resistenze di cittadini e commercianti lo frenano.
Intanto, tornando al pavè, i ciclisti più incoscienti - esasperati da clacson e sbandate - tentano la sorte sui marciapiedi. E per i pedoni diventa una roulette russa: a quel punto per il ciclista incattivito l’unica regola che conti diventa il ‘mors tua/vita mea’. Parte un’infinita ridda di slalom, sbuffi, insulti se il povero pensionato o lo studente zombie con lo sguardo fisso sul cellulare non si scansano immediatamente. A peggiorare l’ingorgo fra strade e marciapiedi, i fattorini per le consegne di cibo sulle loro bici elettriche (quasi tutte modificate, con velocità di crociera da moto) sfrecciano ovunque. Pur non avendo campanello per avvisare del rischio di impatto con il malcapitato, molti scommettono (verbo purtroppo in voga per noi appassionati di pallone in questi giorni sulle cronache giudiziarie) sulla telepatia altrui o magari sul terzo occhio spuntato dietro la testa, non si sa mai con queste mutazioni genetiche dovute all’inquinamento.
A proposito di smog, nonostante la pioggia a singhiozzo di ieri e i blocchi alle auto sempre, si respira ovunque un odore acre similpiombo. L’altra cosa onnipresente è l’inciviltà della sosta selvaggia. Che sia Lotto, Monte Ceneri, viale Misurata o corso Buenos Aires, furgoni, camioncini e auto sulla pista ciclabile o in bilico tra strada e marciapiedi la fanno da padrone. Come se non bastasse, sull’asse corso Venezia/Baires spuntano paletti di acciaio vicino alle svolte. Pericolosissimo, considerato che tanti “colleghi“ di bici viaggiano senza casco. Scelta suicida, a maggior ragione in città. E in via Visconti di Modrone - casco o non casco - si rischia grosso: prima dell’incrocio rebus che fatto scatenare i social (ma a onor del vero, vista dal vivo, è abbastanza chiaro il percorso) un furgone al centro della ciclabile da un lato, sulla strada un bus 94 autosnodato. Il povero ciclista in mezzo, come fosse un gioco mortale inventato dalla mente diabolica della serie tv “Squid Game“. Giunti a destinazione, si suda ancora freddo per lo spavento.
Se il ciclista incallito che è in me alla bici non rinuncerà mai, a maggior ragione dopo questa ennesima prova sul campo, non manderei in giro su due ruote i miei figli. Se penso che la strada imboccata da Milano sulla mobilità ‘green’ sia giusta, resta ancora molto, molto lunga. E resta da scalare la salita più ripida, quella della sicurezza.