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Donna incinta morta in clinica: "Lunga agonia". Indagata anche la psichiatra

Non è stata un’emorragia interna improvvisa. Non un evento fulminante, quello che dieci giorni fa ha portato alla tragica fine di Claudia Bordoni, la 36enne marketing manager morta alla Mangiagalli con le due gemelle che aveva in grembo da 25 settimane di GIULIA BONEZZI e MARIO CONSANI

Claudia Bordoni

Milano, 8 maggio 2016 - Non è stata un’emorragia interna improvvisa. Non un evento fulminante, quello che dieci giorni fa ha portato alla tragica fine di Claudia Bordoni, la 36enne marketing manager morta alla Mangiagalli con le due gemelle che aveva in grembo da 25 settimane. La sua è stata piuttosto un’agonia, durata presumibilmente alcune ore, per un’emorragia interna provocata da una lacerazione della vagina. Dovrebbe essere stata quella anche l’origine dei forti dolori rettali e sacrali di cui la donna si lamentava e che sarebbero stati attribuiti erroneamente alle emorroidi. E anche il liquido che ha rimesso prima di andare in arresto cardiaco non era sangue, ipotesi che aveva fatto pensare, in un primo momento, a un’emorragia gastrica. Queste le prime risultanze dell’autopsia. Si dovrà però attendere il deposito della consulenza medico legale disposta dalla Procura, ovviamente, per poter avere un quadro più preciso del perché Claudia sia morta «tra dolori lancinanti», come hanno denunciato i familiari rimasti accanto a lei impotenti.

Al momento sono quattro i sanitari della clinica Mangiagalli indagati per omicidio colposo: oltre a due ostetriche e una ginecologa, anche la psichiatra che aveva visitato la giovane la mattina prima del decesso, somministrandole un farmaco contro l’ansia quando invece è possibile, stando all’ipotesi d’indagine, che Claudia fosse in preda ad una reale crisi respiratoria. Martedì intanto, a Grosio in Valtellina, il paese di cui era originaria la ragazza, l’intera comunità le darà l’ultimo saluto stringendosi attorno al suo compagno e ai suoi genitori. Nel frattempo gli inquirenti continuano sui vari fronti la loro inchiesta per tentare di dare una spiegazione a una tragedia apparentemente inspiegabile, anche tenuto conto dell’odissea di Claudia attraverso vari ospedali dopo una fecondazione assistita al San Raffaele, e proprio per quella gravidanza complicata che dunque era costantemente monitorata. E infatti oltre alla Mangiagalli anche l’ospedale San Raffaele e quello di Busto Arsizio - le tre strutture dove Claudia era stata ricoverata nel suo ultimo mese di vita - hanno ricevuto nei giorni scorsi la visita degli ispettori inviati dal ministro della Salute Beatrice Lorenzin e di quelli spediti dalla Regione.

Dal tre al sette aprile la donna era stata all’ospedale di Busto Arsizio per piccole perdite di sangue, ritenute compatibili con un abbassamento della placenta. Al San Raffaele, dove operava la ginecologa cui si era rivolta per la procreazione medicalmente assistita e che la seguiva in gravidanza, Claudia era rimasta ricoverata dal tredici al venti aprile scorso. Ci era tornata poi il 25, quando era stata visitata e dimessa, hanno spiegato dal San Raffaele, «dopo aver accertato l’assenza di patologie generali e di natura ostetrica materno fetale». La sera successiva però, quella di martedì 26, Claudia si era presentata al pronto soccorso ostetrico-ginecologico della Mangiagalli, dove era già stata ben sei volte nei mesi precedenti per minacce d’aborto, l’ultima il sette marzo. Tenuta in osservazione per una minaccia di parto prematuro, era stata ricoverata nelle prime ore della mattina, il 27. E lì è morta nel primo pomeriggio di giovedì 28 aprile. I medici hanno anche tentato un cesareo nella stanza, per salvare le bambine. Ma le sue gemelline sono nate morte.