REDAZIONE MILANO

Gamba rotta, lo operano e muore: "Lasciato senza medici e assistenza"

Milano, secondo decesso anomalo sotto le Feste all'Istituto Clinico Città Studi, ex Santa Rita di MARINELLA ROSSI

L’ex Santa Rita è oggi l’Istituto Clinico Città Studi

Milano, 11 gennaio 2016 - Una scivolata, il femore si spezza, e si slitta in un tunnel, morte non annunciata. Un transito repentino, tra confusione, assenza di comunicazione sull’intervento, medici fantasma, macchinari della dialisi «in blocco», il reparto di terapia intensiva invalicabile. E una sola infermiera nella notte della vigilia di Natale per 34 letti. Ma quando (a che ora?) il cuore di Pasquale Gallitelli si è arrestato? E quando chi avrebbe potuto intervenire, se ne è accorto? Probabilmente troppo tardi, per salvarlo. Probabilmente nemmeno infermieri e medici dell’Istituto Clinico Città Studi, ex Santa Rita, sanno rispondere. Ai familiari la scoperta della morte all’alba di Natale, quando figli e moglie di Pasquale non possono vederlo: la camera mortuaria a quell’ora è chiusa anche per chi ha il padre dentro, il personale paramedico non dispone delle chiavi, perché - vien detto - l’obitorio «è gestito da una società esterna».

Il tribolato transito fra Natale e Capodanno alla clinica ex Santa Rita, l’Istituto Città Studi, è in un’altra morte sospetta. E in un’altra denuncia per colpa medica, ipotesi di omicidio colposo, che dovrà essere valutata dalla Procura della Repubblica, alla quale i parenti di Pasquale Gallitelli si rivolgono attraverso l’avvocato Matteo Murgo. E dopo che nella casa di cura, a cavallo tra il 31 dicembre e l’1 gennaio, i familiari di un altro paziente (Antonio Caracciolo, anch’esso deceduto) si son rivolti ai carabinieri per avere le attenzioni di un medico strutturato e adeguato.

Pasquale Gallitelli all’ex Santa Rita non sarebbe dovuto andare. Settantasei anni, poliomielitico alla gamba destra, diabetico e trattato con una dialisi trisettimanale al Policlinico, all’una di notte del 23 dicembre, dopo la brutta caduta in bagno, viene portato là dai lettighieri del 118 perché al Poli, vien detto al figlio, non c’è l’Ortopedia. Ma Pasquale non è soltanto un uomo con una gamba rotta, ha bisogno anche di altre cure. La denuncia dei familiari indica una sequenza di criticità. La mattina del 24 l’uomo entra in sala operatoria «in assenza di interpello dei familiari - e nonostante l’espressa richiesta fatta la sera prima - i quali non vengono informati della tipologia di intervento, eventuali alternative, effetti conseguibili, eventuali rischi, ma soprattutto della concreta situazione ospedaliera in rapporto alle dotazioni, alle attrezzature e al loro regolare funzionamento, in modo che potessero decidere se sottoporre il familiare all’intervento, se farlo in quella struttura, o se chiedere di trasferirlo in un’altra».

Il pomeriggio del 23 Pasquale era stato messo sotto dialisi, approfittando del reparto ancora attivo, ma che di lì al 31 sarebbe stato chiuso, perché «l’unica nefrologa andava in ferie». E la dialisi, racconta lui stesso al figlio, «dura due ore invece che quattro, la macchina suonava sempre e andava in blocco». L’operazione al femore avviene prima che arrivino i familiari, quindi Pasquale viene infilato in reparto, non in terapia intensiva: «Non monitorato, non sottoposto a una sorveglianza intensivistica», come si converebbe su pazienti in dialisi trattati con anestesie e sedativi, e senza «che nessun medico si fosse visto per tutto il giorno». La notte, Pasquale la trascorre con gli altri 33 e un’infermiera. Quando e come muore sono dettagli che figli e moglie non hanno. Vengono avvertiti in piena notte, e tutto è avvenuto, e chissà quando: «Ho provato due ore a rianimarlo ma non c’è stato nulla da fare». Ora a loro torna come un doloroso mantra quella strana frase, appena sbarcati in clinica, buttata là da un infermiere: «Ma chi vi ha fatti venire qui?».

marinella.rossi@ilgiorno.net