di Luca Zorloni
Milano, 3 settembre 2014 - Un'altra fumata nera. Per la seconda volta Coca Cola Italia e i sindacati, seduti intorno a un tavolo nella sede milanese di Assolombarda, non sono riusciti a trovare una mediazione sul piano di 249 licenziamenti nel settore vendite dichiarato dalla multinazionale. Non ci sarà una terza volta: lunedì, dopo un tira e molla durato l’intera giornata, le possibilità di chiudere la partita a livello sindacale si sono esaurite. Ora la patata bollente passa al ministero dello Sviluppo economico, che ha tempo qualche settimana per convocare le parti a Roma e trovare una soluzione. Perché, finito settembre, scattano gli esuberi. L’azienda non intende fare un passo indietro. «Non si è mossa dalle sue posizioni durante la trattativa di lunedì», spiega Alberto Donferri di Uila Milano, la sigla Uil che segue il comparto agroalimentare. A luglio l’azienda ha annunciato nuovi tagli all’organico. Chiuderà lo stabilimento di Campogalliano, nel Modenese, che dà lavoro a 57 persone e saranno licenziati 249 addetti dell’area commerciale, distribuiti in tutta Italia ma perlopiù concentrati in Lombardia, dove c’è la testa del gruppo. Tuttavia al tavolo sindacale la multinazionale delle bollicine non ha ancora spiegato come e dove saranno ripartite le uscite. «Abbiamo chiesto una fotografia della struttura commerciale oggi – osserva Donferri – e una di come sarà l’azienda domani, ma non ci hanno fatto capire come saranno calati gli esuberi». NÉ sono state ascoltate le richieste di salvaguardare il personale più anziano (che «fa fatica a trovare un nuovo posto di lavoro», sottolinea il sindacalista), di gestire le uscite su base volontaria e di passare a ricollocazioni interne. E «non ci saranno incentivi all’esodo», aggiunge Donferri. Nel complesso oltre 300 licenziamenti mentre Coca Cola, ricorda il sindacalista, in estate ha assunto nuovo personale. Ancora ieri, sul sito, erano pubblicate sei offerte di lavoro. Né, ricordano i lavoratori, si possono considerare misure d’emergenza per tenere a galla l’azienda: nel 2013, infatti, il gruppo ha registrato in Italia un fatturato di 70 milioni di euro. Ciononostante i vertici mettono di nuovo mano alla forza lavoro, che negli ultimi tre anni è passata da 3.300 unità a 2.100. E i sindacati temono che questi tagli non siano gli ultimi. Già con questo piano esuberi, sottolineavano i lavoratori in presidio a fine luglio a Milano, «perdiamo la vendita diretta. Ora l’azienda dovrà affidarsi a grossisti per andare sul mercato».