Milano, 24 ottobre 2023 – Una colf in cerca di occupazione, la “prova di stiratura” richiesta dai nuovi datori di lavoro e l’aggressione del cane di casa. Inizia così la disavventura di A., che cercava un impiego a Milano e invece si è imbattuta in una odissea giudiziaria. Oggi, a distanza di oltre 9 anni da quell’episodio, avvenuto il 14 giugno del 2014, e per il quale la donna chiese un risarcimento ai padroni di casa, la questione si trascina ancora nelle aule giudiziarie senza trovare un epilogo. Anzi: nei giorni scorsi, la terza sezione civile della Cassazione ha annullato quanto i giudici precedenti avevano deciso rimandando tutto di nuovo alla Corte d'Appello di Milano.
Ma perché la vicenda giudiziaria non si è ancora conclusa? Che il fatto sia accaduto in nessun momento del giudizio è stato messo in discussione, anche se la famiglia ha sostenuto, mai creduta dai giudici, che l''attacco' dell'animale fosse stato provocato dal fatto che l’aspirante colf avesse avvicinato il ferro al muso del cane, irretendolo. La donna, assistita dall'avvocato Enrico Battagliese, ha portato in giudizio la padrona di casa e il figlio, indicandoli entrambi come 'responsabili' del cane e chiedendo un risarcimento di 9.400 euro.
I due, oltre a sostenere la colpa dell’aspirante collaboratrice domestica, hanno affermato che il cane era solo del figlio e non anche di proprietà della padrona di casa. E hanno fatto presente che eventualmente i danni sarebbero stati coperti dalla loro assicurazione che, però, chiamata in causa ha sostenuto l'inoperatività della polizza.
Il primo grado si chiude col Tribunale di Milano che dichiara la responsabilità di entrambi, condannandoli a pagare in solido 7.486 euro sulla base di una consulenza medica che attestava i danni dovuti all'aggressione e condanna anche l'assicurazione a manlevarli, cioè a farsi carico del danno. Punto importante: secondo il giudice di primo grado, il cane era nella custodia della padrona di casa.
La Corte d'Appello ha però rimescolato le carte, sulla base dei ricorsi, stabilendo che il danno andava ridotto a 2.64 euro che avrebbe dovuto sborsare solo il figlio perché la madre, non essendo la proprietaria e non "traendo un godimento dalla bestia ma accudendola per puro spirito di cortesia", non c'entrava. Soldi che, secondo questa nuova interpretazione, l'assicurazione non doveva coprire.
Si arriva infine alla Cassazione dove tutti, padroni di casa, colf, assicurazione, portano le loro lamentele. E la Suprema Corte, nel provvedimento decide di 'tirare una linea' sulla sentenza d'appello ritirando in ballo la responsabilità della padrona di casa perché, come giurisprudenza indica, "pur essendo alternativi i titoli di responsabilità del proprietario e dell'utilizzatore non sono mutualmente esclusivi e possono sussistere contemporaneamente". Infine, accoglie pure il ricorso del figlio affermando che la Corte d'Appello non ha spiegato bene perché non potesse essere chiamata in causa l'assicurazione. Ora toccherà a una Corte d'Appello decidere "secondo i principi ricordati" dagli 'ermellini'.