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Contro l’Hiv basta una iniezione ogni 2 mesi

La sperimentazione a base di composti a lungo rilascio è "una rivoluzione copernicana" dice Stefano Rusconi, infettivologo della Statale .

di Annamaria Lazzari

C’è una novità dirompente nelle terapie contro l’Hiv. A distanza di quasi 40 anni dalla scoperta dell’Aids, non si può parlare di sconfitta definitiva della malattia. Ma la strategia di cura ha fatto enormi passi avanti, dal momento che è già possibile, coi farmaci attuali, stabilizzare l’infezione dell’Hiv, quando viene presa in tempo, garantendo una sopravvivenza al pari della popolazione generale. Oggi, poi, c’è una speranza in più. Affidata a una sperimentazione a base di composti a lungo rilascio - i farmaci "long-acting" - che potrebbero "rappresentare una rivoluzione copernicana nella strategia anti-Hiv" afferma Stefano Rusconi, professore associato di malattie infettive del Dipartimento di Scienze Biomediche e Cliniche “Luigi Sacco” all’università Statale. All’interno della divisione clinicizzata di malattie infettive dell’ospedale Sacco, il professor Rusconi segue circa 350 pazienti su un totale di 2.500.

Professor Rusconi, in cosa è differente la nuova terapia dai più diffusi antiretrovirali?

"Anzitutto: non è una terapia registrata ma una sperimentazione in corso da circa 3 anni in diversi centri in Italia e all’estero. La somministrazione non è per via orale ma intramuscolare. Il paziente deve fare due iniezioni di due farmaci e solo una volta ogni due mesi, grazie alla formulazione a lungo rilascio. Il vantaggio per la qualità della vita è considerevole perché il soggetto si svincola dalla terapia giornaliera di - minimo - una compressa al giorno che diventano cinque 2 volte al giorno per i casi più gravi. Un’altra strategia sperimentale riguarda i farmaci, per via orale, che inibiscono la “maturazione”, fase finale del ciclo vitale dell’Hiv".

Chi sono oggi i soggetti-tipo che fanno il test dell’Hiv?

"Tendenzialmente più uomini che donne, sia eterosessuali che omosessuali. L’età è dai 30 anni in su. Il fattore di rischio riportato dall’utente è il rapporto sessuale non protetto".

Non più lo scambio di siringhe infette?

"Da noi succede pochissime volte, di più coi pazienti che si rivolgono ai Serd (servizi per le dipendenze territoriali ndr)".

Negli ultimi anni sono aumentati i casi di infezione da Hiv?

"Sono diminuite le diagnosi di Hiv, sebbene il numero dei test rimanga molto alto. Ancora di più è diminuito il numero dei casi di Aids, lo stadio clinico terminale dell’infezione causata dal virus dell’Hiv".

La pandemia da Covid ha condizionato il numero dei test per l’Hiv?

"Durante il lockdown sono stati in numero inferiore ma sono ripresi a maggio, con l’inizio della Fase 2, ed è cresciuto il numero dei test a giugno".

Che fare per “stanare“ il sommerso?

"Test rapidi e capillari. Una strategia auspicabile sarebbe includerli nel “pacchetto” di esami pre-ricovero per qualsiasi operazione. Rimane un problema di informazione per una fascia straniera della popolazione che ignora le vie di trasmissione del virus. Nelle nostre nuove diagnosi da giugno in poi, 7 casi su 10 riguardano stranieri extraeuropei. Per diffondere conoscenza adeguata dei fattori di rischio, il messaggio dovrebbe essere veicolato non solo nella lingua d’origine ma da un esponente della comunità dotato di credibilità e autorevolezza".