Milano, 29 marzo 2020 - Una Chiesa in prima linea nell’emergenza coronavirus, tra nuovi bisogni da affrontare, drammi quotidiani e conforto per chi soffre. L’arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini, parla a una città spaventata e coraggiosa, che sta affrontando una delle prove più difficili coltivando il seme di una rinascita.
Monsignor Delpini, qual è il suo messaggio da arcivescovo di Milano per le persone, come medici e infermieri, che in questi giorni sono in prima linea nell’affrontare l’emergenza coronavirus? "Al coro degli applausi e della riconoscenza mi unisco anch’io, con ammirazione. Tutto il personale dedicato alla cura delle persone mette ora in evidenza quello che fa sempre: adesso assume tratti di eroismo, ma, per quello che mi risulta, per loro è vita quotidiana; anche quando si parla male di loro e addirittura sono esposti all’aggressività di pazienti e familiari. Se posso inviare un mio messaggio direi: Abbiate cura anche di voi stessi. Siate prudenti. Generosi e disponibili, ma prudenti. Anche la vostra vita è preziosa. Anche la vostra salute è un bene comune. Anche voi dovete aver cura di non contribuire al contagio". Che Pasqua sarà per Milano e per una comunità cattolica che si trova nell’impossibilità di uscire di casa per partecipare alle celebrazioni? "Sarà come la prima Pasqua. Si legge nel Vangelo di Giovanni: La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove di trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: “Pace a voi!” (Gv 20,19). Non c’è niente che possa sostituire la celebrazione comunitaria, festosa e suggestiva. Ma noi, a porte chiuse, per timore del contagio, potremo sperimentare la presenza di Gesù risorto: questa è la Pasqua per quest’anno. Quando si apriranno le porte avremo la responsabilità di irradiare la gioia e condividere la speranza: anche quel giorno sarà Pasqua". Diocesi e parrocchie si sono attrezzate per trasmettere le messe in streaming e trovare nuovi canali di comunicazione. Come giudica questa esperienza, anche nell’ottica di far arrivare il messaggio a persone che solitamente non frequentano la Chiesa? "Quando uno ha fame, non gli basta la fotografia del pane per saziarsi. Non possiamo fare a meno del convenire per celebrare la messa. Le trasmissioni con i diversi mezzi di comunicazione sono pure modi di condividere la fede, di pregare insieme, di sentirsi comunità. Certo anche per chi non viene in chiesa è più facile curiosare e ascoltare. In questo tempo è tutto quello che riusciamo a fare e io sono ammirato dell’intraprendenza e creatività di tanti per tener vivi i legami e rendere possibile pregare insieme. Certo non è un modo di “partecipare alla messa”. Quest’anno non si può fare diversamente: farà del bene anche questo, forse anche più di quanto pensiamo". Il tema della povertà e delle nuove emergenze legate alla perdita del lavoro: come affrontare la ricostruzione una volta risolta l’emergenza sanitaria? "Non ho nessuna idea di quando e come sarà risolta l’emergenza, né di come affrontare la “ricostruzione”. Altri sapranno. Per ora abbiamo creato il fondo “San Giuseppe per la prossimità nell’emergenza lavoro”: vorremmo aiutare a sopravvivere chi ha perso il lavoro a causa dell’epidemia e non ha fonti di reddito. Non è una soluzione. Speriamo che sia almeno un sollievo". Di fronte all’emergenza c’è stata una grande risposta del mondo del volontariato, tra iniziative di solidarietà e impegno dei giovani anche negli oratori. Potrebbe essere il seme di una nuova Milano attenta ai più deboli? "Non è mai una situazione o un evento a cambiare la vita di una città, di una società. Nella disgrazia si può diventare migliori, ma anche peggiori. Il mondo del volontariato è un incalcolabile patrimonio della nostra terra. Io non finisco di stupirmi delle forme, della intelligenza, della moltitudine del volontariato. A Milano c’è molta attenzione ai più deboli, c’è gente che intende la sua vita come un servire, in qualsiasi ruolo, in qualsiasi lavoro, da operatore o da volontario. Sempre. Forse in questo tempo lo si nota di più. A Milano c’è però anche molto egoismo, molta diseguaglianza, molto sperpero, gente che fa soldi facendo danni alla comunità. Come sarà la nuova Milano? E chi lo sa? Sarà come la faranno i milanesi". Come superare la paura e trovare conforto in un momento così drammatico, anche di fronte alla morte e all’impossibilità di poter dare l’ultimo saluto ai propri cari? "La paura è un meccanismo psicologico: non so se si può superare. La morte non può non fare paura. Bisogna chiedere agli psicologi. Io credo che bisogna imparare a controllarla. Non sono in grado di dare ricette. Certo quando si è insieme, ci si vuole bene e si ha fiducia gli uni negli altri, è più facile affrontare le cose che fanno paura. Di fronte alla morte non c’è conforto se non c’è speranza di vita eterna. La perdita è irrimediabile se non c’è risurrezione. Ci sono, come per tutto, cure palliative: le condoglianze, le distrazioni, le commemorazioni. Io preferisco la speranza". Che insegnamento può trarre Milano, città che è stata costretta a fermare la sua corsa e ad affrontare una delle prove più difficili, da questi giorni segnati dall’emergenza? "L’emergenza non è il momento adatto per trarre insegnamenti. Per di più non si sa né quando né come finirà. Se poi la città riprenderà la sua corsa, credo che non avrà tempo per pensare. Non avrà imparato niente. Ma credo che esistano i saggi, gli uomini e le donne che prendono il tempo per pensare, gente che non ama parlare molto, gente che non pronuncia giudizi affrettati, gente capace di ascoltare, gente umile, gente convinta che principio della sapienza è il timore del Signore (Prv 9,10). Esistono i saggi. Loro ci aiuteranno".