Milano, 3 febbraio 2016 - Una supplica. A ritrattare. Una lettera inviata dalla madre di Alexander Boettcher, Patrizia Ravasi, al padre di Pietro Barbini, Gherardo, perché riveda la propria testimonianza. Datata 5 dicembre 2015, la donna vi implora «di rivisitare accuratamente il ricordo di quel tremendo 28 dicembre che ha devastato le nostre vite», e che a Martina Levato e a Boettcher già costa 14 anni di galera. Partendo dal presupposto che i ricordi di Gherardo Barbini - il quale assistette all’aggressione all’acido subita da Pietro per mano di Martina, per poi essere inseguito da Alex con un martello - siano stati viziati dalla "possibilità che la mente di ognuno di noi, soprattutto se attanagliata dal profondo dolore di essere presente all’aggressione del proprio figlio", possa "creare associazioni divergenti dalla realtà oggettiva". Ha visto lucciole e non lanterne, Gherardo Barbini, quando tra le mani sue, di Pietro già straziato dal solforico e di un terzo uomo poi defilatosi, si trovò l’atletico Boettcher? Il foglio, compilato ordinatamente, viene contestato dall’avvocato di parte civile Barbini, Paolo Tosoni, a Patrizia Ravasi, sentita come testimone al processo a carico di Alexander per le altre aggressioni all’acido: perché l’ha spedita, quella missiva, quell’"accorata supplica di una madre"? Un ricordo impreciso sta "rischiando di distruggere la possibilità di un futuro di un ragazzo che sono certa non abbia le colpe di cui lo si accusa".
"La vita di mio figlio è per me altrettanto importante come per lei - scriveva al padre di Pietro - quella del suo". "Il signor Gherardo Barbini ha visto mio figlio, ma tutta Italia ha visto Andrea Magnani nelle immagini della telecamera di via Carcano. E non ha visto mio figlio", rilancia in aula, Ravasi. Per concludere con "la possibilità di una sovrapposizione fra le due figure", Magnani, complice della coppia, e Alex. Difese disperate. A partire dai film mandati in aula, in cui Alex (dopo aver negato di averlo fatto) strangola compiaciuto galline, le cui carcasse grondanti giacciono a terra, incide l’interno coscia sanguinante di Martina per imprimervi la sua A, induce la ragazza a bere da una bottiglia la sua urina. Sono immagini - chiede il presidente dell’undicesima penale Elena Bernante - che modificano l’immagine di suo figlio, da lei definito ragazzo "timido e introverso"? "Ahimè le ho viste" - dice mamma Boettcher, ma escogita attenuanti: "Non c’è quell’abisso di violenza, cattiveria e sadismo... Martina Levato è allegra e divertita"; i polli, "se uno è capace di tirare il collo di una gallina fa così, e non sarà bello ma non ci vedo un reato"; e quella bottiglia "può far ribrezzo, ma credo che la trasgressione di certe persone possa raggiungere livelli che non possiamo immaginare". Liquami per uso personale.
E il processo precipita in rapide turbinose, come quelle del kayak che divise Alex dalla bella moglie Gorana. I difensori Michele Andreano e Giovanni Flora perdono su vari fronti: niente perizia sulle impronte digitali sulla mazzetta che Gherardo Barbini ha visto in mano a Boettcher e lui invece dice di aver visto a terra, senza sfiorarla. Il tribunale la rigetta. L’ispettore Morandini racconta di Pietro, in ospedale, occhi bendati ma idee chiare: "Mi disse: cercate una mia compagna di scuola, Martina Levato, guardate il profilo Facebook, e il fidanzato, Alexander". Un inquilino della casa di Alex di via Alessi, Paolo P.: "Il lavandino era intasato, per sgorgarlo Alex andò a comprare Mister Muscolo". E le altre sei bottiglie di acido? Mah.
Gli amici di Stefano Savi, sfregiato per errore di persona, chiamati dalla difesa, respingono al mittente l’ipotesi di piste alternative: cercarono accoratamente chi poteva avergli fatto del male e non lo trovarono. Non c’era. Dice Valentina C., l’ex fidanzata: "Stefano è persino troppo buono, non ha nemici". Un aiutino ad Alex, ma è poca cosa, viene dall’amico di famiglia Roberto Casari: Magnani disse che il suo nome era nella lista dei futuri obiettivi. "Alex era rimasto male per non essere riuscito a entrare in politica con la lista Tremonti". Il gancio era stato lui, Casari, e suo malgrado: "C’era rimasto male, ma un attentato, dai, no".