MARIO CONSANI
Cronaca

Coronavirus, il giudice: "Celle piene, non portate in carcere i nuovi condannati"

Milano, la richiesta della presidente del Tribunale di sorveglianza alla Procura

Carcere (foto di repertorio)

Carcere (foto di repertorio)

Milano, 5 aprile 2020 -  E ora la palla passa alle Procure. È una lettera coraggiosa (e destinata a suscitare polemiche) quella con cui il presidente del tribunale di sorveglianza di Milano, Giovanna Di Rosa, prende un’iniziativa clamorosa. Chiede cioè agli uffici giudiziari che firmano gli ordini di carcerazione – i cui destinatari sono destinati ad andare in cella – di valutare se non sia il caso di sospendere quegli ordini: in pratica, di pensarci bene prima di mandare dentro imputati appena riconosciuti colpevoli in via definitiva, ma che avevano atteso in libertà l’ultimo verdetto.

Troppe le persone messe in carcere anche senza un’urgenza specifica, in giorni in cui le strutture sono in difficoltà per ulteriori rischi di contagi da coronavirus e per la necessità di isolare sia i nuovi ingressi che i detenuti già positivi. È per questi motivi che il tribunale di sorveglianza milanese, già al lavoro su alcune centinaia di scarcerazioni con misure alternative per alleggerire il sovraffollamento, ha deciso di chiedere alla Procura e alla Procura generale di valutare "l’opportunità di sospendere" l’emissione di "ordini di carcerazione" per i condannati a pene definitive. Già nei giorni scorsi, del resto, su questo fronte di emergenza nelle carceri era intervenuto anche il procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi, con una nota inviata a tutti i Pg delle Corti d’appello, chiedendo di "incentivare la decisione di misure alternative", salvo che per i reati più gravi, compresi quelli da “codice rosso“", per "alleggerire la pressione" negli istituti.

Nel capoluogo lombardo, intanto, molti avvocati lamentano proprio il fatto che, a prescindere dalla delicata situazione sanitaria, le carcerazioni, sia come custodie cautelari che come ordini di esecuzione pena, non si stanno fermando. Tanto che due giorni fa, ad esempio, non sono stati concessi i domiciliari ad un albanese fermato su un mandato d’arresto internazionale che pendeva da giugno.

E nei giorni scorsi sia l’Ordine degli avvocati milanesi che la Camera penale hanno spiegato che è "improcrastinabile" un intervento per svuotare le carceri anche con la sospensione "delle esecuzioni in corso delle pene residue sino 4 anni". Sulla linea della "sospensione" si è mosso ora anche il presidente del tribunale di sorveglianza Di Rosa, che in queste settimane, malgrado gli uffici “trasferiti“ dopo il recente incendio, sta applicando affidamenti in prova e detenzioni domiciliari (circa 400 scarcerazioni finora), sulla base di vecchie e nuove norme. Da qui la richiesta di uno stop agli ordini di carcerazione per "evitare rischi di contagio, provenienti dall’esterno verso l’interno, nonché l’estensione di zone di isolamento che sono già di difficilissimo reperimento, anche a causa dei contagi interni".