
Una foto di un' inseminazione svolta in laboratorio
Milano, 8 ottobre 2020 - Sono due gemelline nate al Niguarda alcuni giorni fa le prime bambine venute al mondo grazie a una procedura di fecondazione assistita eterologa a carico del servizio sanitario lombardo. E sono anche l’inconsapevole vittoria alla fine di un percorso che in Lombardia è durato più di sei anni, anzi sedici se si parte dalla legge 40 del 2004 e dal suo divieto di praticare la procreazione assistita in Italia con gameti (ovuli o spermatozoi) di donatori estranei alla coppia di aspiranti genitori. Un divieto incostituzionale, demolito definitivamente dopo dieci anni da una sentenza storica della Consulta nell’aprile 2014. Poco più di un anno dopo, il ministro della Salute Beatrice Lorenzin avrebbe varato le linee guida nazionali per l’accesso all’eterologa, ma gli aspiranti genitori lombardi già dovevano fronteggiare un altro ostacolo tutto locale, perché l’anno prima la Giunta di Roberto Maroni aveva imposto che nella nostra, unica tra le Regioni, la fecondazione con gameti esterni alla coppia si sarebbe pagata a prezzo pieno, da 1.500 a 4mila euro a ciclo, invece che col ticket previsto per la Pma omologa.
Ci sono voluti altri due anni prima che il Tar e poi il Consiglio di Stato, nel giugno 2016, bocciassero questo trattamento dispari. Giulio Gallera, l’assessore liberal che cinque giorni dopo quella sentenza s’insediava al Welfare sino ad allora retto ad interim da Maroni, già a ottobre prometteva che l’eterologa anche in Lombardia sarebbe stata ammessa alla compartecipazione col servizio sanitario regionale, che fosse o meno inserita dal Governo nei Lea (i Livelli essenziali di assistenza, cioè le prestazioni da garantire in maniera uniforme in tutto il Paese) come poi avvenne, all’inizio del 2017. E però, non soltanto in Lombardia, la strada era ancora lunga per la penuria di donatori e soprattutto di donatrici (complici, secondo alcuni addetti ai lavori, le regole molto rigide introdotte in Italia) di gameti, che dunque in massima parte vengono ancora acquistati all’estero.
Per questo la Regione, con un finanziamento di due milioni di euro, ha varato nel maggio 2019 la "banca dei gameti", che conserva ovuli e spermatozoi provenienti da altri Paesi e fa da collettore per tutti i centri accreditati alla fecondazione eterologa in Lombardia: al Niguarda, che sin dagli anni ’60 aveva una struttura specializzata nei disturbi della fertilità e contestualmente è stato battezzato l’hub regionale per la procreazione assistita con donatore. "Nel 2019 abbiamo seguito un iter lungo e complesso per attrezzare i nostri laboratori e formare gli specialisti – ginecologici, ostetriche, biologi e psicologi – e avviare le convenzioni con le banche di gameti internazionali", spiega Marco Bosio, il direttore generale del Niguarda il cui centro di terapia della sterilità a gennaio di quest’anno, e con già una sessantina di coppie in attesa, è riuscito a partire con le prime fecondazioni eterologhe in convenzione col servizio sanitario regionale.
Neanche due mesi dopo è arrivato il coronavirus e il centro di Niguarda, "che segue ogni anno circa 500 procedure di fecondazione omologa (con ovuli e spermatozoi della coppia, ndr ) oltre ai sessanta casi che stiamo assistendo per l’eterologa - spiega il responsabile dell’ équipe per la diagnosi e la terapia della sterilità Maurizio Bini - è stato costretto a sospendere e poi rimodulare l’attività, per garantire la sicurezza a tutti i nostri pazienti". I neogenitori delle gemelline però a febbraio, appena prima che scattasse l’emergenza Covid, sono riusciti a infilarsi in quella piccola finestra e sottoporsi al primo ciclo. Ed è andata bene al primo colpo. "Un messaggio di speranza, in questo momento più che mai", osserva Bini. I neogenitori delle gemelle hanno voluto affidarlo ai medici del Niguarda, perché lo trasmettano: "Il percorso è stato lungo, tortuoso e molto impegnativo, ma ne è valsa la pena, perché il sogno si è realizzato". Cercavano un figlio da oltre cinque anni: "Poco meno di un anno fa, dopo tanti tentativi e delusioni, era arrivata la dura sentenza che per noi non vi era possibilità di concepimento, salvo ricorrere all’ovodonazione. Ultima chance. Grazie al dottor Bini e al suo staff abbiamo realizzato la gioia più grande per una donna e un uomo. Non è facile, ma non dovete mai perdere la speranza".