Milano, 13 agosto 2020 - C’è chi, finito sotto un casco per la ventilazione, dopo una vita di successi, è diventato più «umano». Succede però più di frequente che il Covid-19 lasci come strascico, anche dopo la dimissioni dal ricovero, ansia, depressione o ossessione per l’igiene. Claudio Mencacci, direttore del dipartimento di Salute mentale degli ospedali Fatebenefratelli-Sacco, negli ultimi mesi ha seguito da vicino soggetti a cui il virus ha procurato «cicatrici emotive».
Sono state 1.472 le persone, ammalatesi durante la pandemia, che sono state monitorate dopo le dimissioni, per un’iniziativa di sorveglianza che ha coinvolto anche Buzzi e l’università Statale. Attraverso test, è emerso che circa l’8%, 118 pazienti, abbia sviluppato disturbi d’ansia o depressivi, di intensità varia. Costoro sono stati messi in contatto con una speciale équipe di psicologi e psichiatri del suo dipartimento che ha offerto loro un aiuto psichico. In più del 70% dei casi si è trattato di donne e l’età per oltre il 55% è stata sopra i 50 anni.
«Le sintomatologie più comuni sono a carattere ansioso o depressivo. Un tratto caratteristico è lo stato di ipervigilanza, di continua allerta, spesso associata a difficoltà ad addormentarsi: qualcuno ha sviluppato il timore di dormire al buio. Le ansie possono includere episodi di panico e i disturbi ossessivi compulsivi. E per chi è stato in terapia intensiva c’è stato anche il disturbo da stress post-traumatico».
A proposito di atteggiamenti ossessivo-compulsivi, il professor Massimo Galli, primario infettivologo del Sacco, aveva rivelato un mese fa di essere entrato in contatto con due soggetti abituati a lavarsi le mani 100 volte al giorno. «Il numero delle volte può essere anche superiore - dice il professor Mencacci - per chi soffre di rupofobia», la fobia per lo sporco che può spingere il soggetto a rovinare la pelle delle mani a furia di sfregarle con il sapone.
Ma l’ossessione per l’igiene ha scatenato anche episodi che sfiorano l’assurdo. Infatti chi si lava le mani può convincersi di averle nuovamente infettate toccando il rubinetto e così «chiude l’acqua solo proteggendo le mani con un pezzo di carta». Per altri il pericolo si annida nel cibo portato dall’esterno: «C’è chi si fa consegnare i piatti a domicilio ma li apre dopo ore, dopo averli disinfettati…». Fra le storie una che ha colpito particolarmente il professor Mencacci: quella di un noto imprenditore di successo. «Dopo una settimana di febbre che non accennava a scendere ha vissuto una crisi respiratoria ed è finito sotto un casco per la ventilazione assistita. Era un uomo abituato a vivere in una normalità stabile, contraddistinta da piena soddisfazione. In ospedale è stato esposto alla fragilità della nostra esistenza, con la morte che si è portato via dei suoi compagni di stanza». Quel paziente poi è guarito ma quella fragilità - dice Mencacci - «gli ha conferito maggiore sensibilità per l’umano e gli ha fatto capire dove investire nei propri affetti, cosa conta davvero».