Milano, 1 marzo 2020 - "Ci ricordiamo del precariato solo quando abbiamo le emergenze internazionali o personali. Allora vorremmo essere più supportati dal lavoro di ricerca, ma tutto questo dovrà essere affrontato in ben altro modo in futuro e non sporadicamente". E' la riflessione di Claudia Balotta, l'immunologa a capo del team 'rosa' dell'ospedale Sacco di Milano che ha isolato il ceppo italiano del nuovo coronavirus. "Le donne sono molto intuitive, studiano tanto e hanno una forte dedizione al lavoro che fanno, anche se non trascurano gli altri aspetti della vita come la famiglia e fare figli. Tutto questo però non può continuare così. Vogliamo che il lavoro sia incentivato attraverso le stabilizzazioni" ha sottolineato Balotta, ospite su Rai 3 alla trasmissione 'In mezz'ora' insieme alle ricercatrici precarie che hanno lavorato giorno e notte allo studio.
"Noi in questo lavoro ci abbiamo messo la nostra mente, le nostre conoscenze, e ci abbiamo messo anche tanto cuore - evidenzia Balotta - Perché abbiamo fatto un lavoro veramente molto pesante e nelle prossime settimane ci aspetterà qualcosa di molto simile. Abbiamo già raccolto il materiale dei pazienti e lo studio tassativamente andrà avanti a ritmi molto alti. Vorremmo che tutto questo domani non fosse dimenticato. Perché l'epidemia si chiuderà ma queste problematiche rimarranno". Il precariato lungo e sostenuto "non è un evitare che i cervelli vadano via", evidenzia Alessia Lai, una delle 3 scienziate precarie del laboratorio del Sacco in prima linea nello studio sul nuovo coronavirus (Leggi l'intervista). "Il problema è proprio questo: si va all'estero per la precarietà, per cercare stabilità".
In merito a quanto emerso dall'isolamento del ceppo italiano, Balotta ha sottolineato che "il virus italiano presenta differenze nel genoma" rispetto a quello cinese, ma "ci aspettiamo siano differenze minime. Ogni virus in ogni singola persona ha i suoi 'tatuaggi', ovvero è distinguibile. Ma non ci aspettiamo che sia più patogeno di quello cinese".