
Degrado in corso Lodi
Milano, 19 aprile 2017 - Ubriachi a spasso sin dalla mattina. La scomparsa di tanti piccoli negozi di vicinato. Tanta paura ad uscire la sera. E una stazione ferroviaria da Terzo Mondo. Questo è, nel 2017, corso Lodi, costretto a vivere un presente mesto, sospeso tra un passato da «piccolo borgo antico» e un futuro – si spera – colorato di verde. «Era davvero un bel biglietto da visita di Milano per chi proveniva dalla zona sud» dice Alessandro Carcassi. Il titolare dell’ottica omonima aperta dagli anni ’60, all’inizio del viale, invita i lettori a fare un esercizio: «Immaginate, al posto del decadimento attuale, negozi di ogni tipo. Qui in mezzo passavano 3 tram e la gente scendeva e veniva ad acquistare o a scambiare due chiacchiere. Tra noi commercianti ci consideravamo non colleghi ma amici. Le famiglie venivano a passeggiare fino agli anni ’90, ora non più».
Pierangelo Baroni, titolare di un negozio di frutta e verdura aperto dal 1953 in via Scrivia, parla di «un borgo nel cuore della città, con un tessuto sociale solidale. Chi nasceva qui, cresceva, si sposava e moriva qui. Non aveva motivo per andarsene. Avevamo una rete di piccolo commercio che faceva invidia. A fare i fruttivendoli sul corso eravamo in 15. Adesso sono rimasto solo». Stessa sorte è toccata all’amico Guerrino Viganò: «Eravamo 8 macellai, ora sono l’unico». Le botteghe storiche rappresentano nel 2017 un’eccezione, complice anche il sorgere di supermercati nei dintorni. Negli ultimi 20 anni, sono sorti come funghi, nell’arteria compresa fra le fermate della M3 Lodi e Corvetto, solo bar cinesi, kebab e rivenditori di alcolici aperti fino a tardi. «Il rapporto fra attività italiane e straniere - per Marco Spongano, titolare Crazy Vapor, verso Corvetto - è di 1 a 4. Le banchine in mezzo al viale sono meta di perdigiorno che bevono già dalla mattina. Ogni tanto capita che le bottiglie di birra cadano sul manto stradale e vengano frantumate dalle ruote di macchine in corsa. Il rischio di incidenti è più che reale».
Albana Dolce abita verso Brenta: ha acquistato qui una casa un anno fa ma pensa già di rivenderla. «Troppi stranieri incivili e nessuno si azzardi a definirmi razzista, visto che sono originaria dell’Albania. Ma qui la gente può fare come meglio crede, senza temere conseguenze. La sera non esco mai». Eppure le potenzialità per l’area sono «immense». Lo crede fino in fondo Edoardo Fonti che nel 2013 ha rilevato la storica tipografia dei fratelli Bonvini, risalente al 1909, che utilizza ancora macchinari per stampare con caratteri in legno e in piombo. «Fra qualche anno questo diventerà il polo della cultura, della scrittura e del design». Nella visione dell’architetto Cino Zucchi l’immenso scalo ferroviario di Porta Romana diventerà un grande prato verde che scende dolcemente fino alla Fondazione Prada. Oggi quello scalo è una stazione della linea ferroviaria S9 Albairate -Seregno, con siringhe in bella vista, senza sala d’attesa, biglietteria e montascale per disabili. Vicino sorge una gigantesca area verde spontanea, «rifugio di una fauna umana disperata» dice Silvio Bianchi, ex residente di corso Lodi che alla fine non ce l’ha fatta e se ne è andato a vivere altrove.