BARBARA CALDEROLA
Cronaca

Covid: centri commerciali chiusi. Per il settore, una tragedia

"Una misura sbagliata, frutto di pregiudizio" per Luca Lucaroni, vicepresidente del Consiglio nazionale degli store e direttore finanziario del gruppo Carosello

Il vicepresidente Luca Lucaroni: "I negozi in città sono aperti e questo ci discrimina"

Carugate (Milano), 10 dicembre 2020 - «La chiusura? Una misura sbagliata, frutto di pregiudizio». Luca Lucaroni, vicepresidente vicario del Consiglio nazionale dei centri commercial e direttore finanziario di Eurocommercial Properties Italia, il gruppo che controlla Carosello, chiede al governo di ripensarci.

Avevate sperato in una riapertura nel week-end? «A inizio dicembre l’orientamento era questo. Poi, invece ci siamo ritrovati di nuovo esclusi. Un grave errore».

Ci spieghi. «I negozi in città sono aperti e questo ci discrimina. Non dimentichiamo che quasi un quinto – 7mila – su 36mila dei punti vendita negli store italiani sono piccoli e a conduzione familiare. I posti di lavoro in gioco sono 600mila (a Carugate, 116 vetrine, 1.500 addetti su 52mila metri quadrati di superficie). Per il settore questo provvedimento è una tragedia. Non ci sono altre parole che descrivono lo scenario che si profila senza un’inversione di rotta. Per non parlare dei massicci investimenti in sicurezza».

E che alla luce della serrata suonano come una beffa... «Esatto. Per riaprire il 18 maggio abbiamo sottoscritto, come giusto, severi protocolli sanitari, impegnandoci a garantire la presenza di un cliente ogni 10 metri quadrati, l’uso delle mascherine e di gel per le mani. Nel lungo fine settimana dell’Immacolata tutti abbiamo visto gli assembramenti nelle vie dello shopping. Senza contare che da noi la vigilanza privata interviene immediatamente appena c’è una violazione delle norme anti-contagio, mentre per strada non è sempre così».

Nel resto d’Europa i centri sono aperti? «Sì, pure la domenica. Oppure, sono tutti chiusi anche in città. Come in Portogallo. Solo qui c’è una differenza. Temo che paghiamo l’idea di essere un simbolo di un certo tipo di consumismo, contrapposto a una presunta purezza del negozietto. Ma non è affatto così: come dicevo da noi non ci sono solo grandi catene, ma una miriade di piccole botteghe. Penalizzarci è assurdo anche perché in questo momento potremmo svolgere un ruolo importante pure sul fronte trasporti».

In che senso? «Chi viene al centro commerciale usa la macchina e quindi scarica i mezzi pubblici, al contrario di chi va in centro per gli acquisti».

Intanto l’e-commerce fa affari d’oro. «Senza dubbio. Non ci opponiamo certo alla modernità, ma dobbiamo poter competere in un contesto leale. Adesso, noi siamo decisamente svantaggiati».

Ultimo capitolo: i ristori. «Altro tasto dolente. L’affitto dei negozi viene compensato al 30%, al contrario di quello delle attività tradizionali per il quale si arriva al 60. Un’altra differenza insostenibile. Se non si riequilibra la situazione, il contraccolpo sulla filiera sarà durissimo. Non dimentichiamoci dell’indotto e dei fornitori».